Gli Stati Uniti e i nuovi rapporti con gli altri Stati americani
Dopo la storica normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Cuba, la casa Bianca sta reimpostando anche i rapporti con Brasile, Venezuela e Bolivia. Più dialogo e meno interferenze nei confronti delle questioni interne pare siano le nuove linee guida, ma non sono da escludere i grandi temi geopolitici. Cosa chiede Obama agli altri capi di Stato?
Gli Stati Uniti non stanno solo normalizzando le relazioni con Cuba, ma pare di essere di fronte a un cambiamento che si riflette sul resto dell’America. A cavallo tra giugno e luglio, la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha realizzato una visita ufficiale negli Usa, durante la quale è stata ricevuta col massimo degli onori. La visita ha rimesso a posto le cose tra il governo di Brasilia e quello di Washington, dopo lo scandalo emerso nel 2013 delle intercettazioni realizzate dalla Nsa sulle comunicazioni della presidente e del suo gabinetto.
Rousseff sospese per protesta la visita ufficiale, poi realizzata un mese e mezzo fa. Sebbene al riguardo non ci sono state pubbliche ammissioni di colpa da parte della Casa Bianca, il tema è stato trattato con la discrezione che caratterizza la diplomazia brasiliana: è chiaro che Barack Obama aveva intenzione di rinsaldare il legame col Brasile del quale, in conferenza stampa, ha segnalato il ruolo come potenza mondiale e non solo regionale. “Il presidente Obama mi ha detto che quando avrà bisogno di sapere qualcosa (sul Brasile) mi chiamerà”, giáà aveva commentato con humor Rousseff, mettendo la parola fine all’episodio.
Ma venti di novità spirano anche su altri Paesi sudamericani. Nel caso dei difficili rapporti col Venezuela, presto inizieranno le riunioni di una commissione mista il cui obiettivo è aprire un canale di dialogo tra la Casa Bianca e il governo del presidente Nicolás Maduro. Ad aprile, in occasione del summit delle Americhe realizzato a Panamá, Obama ebbe una riunione con Maduro ed il suo staff si prodigò nel chiarire che, contrariamente a una dichiarazione del Dipartimento di Stato, il Venezuela non constituisce un pericolo per la sicurezza degli Usa. Un tentativo per rimediare ad una vera e propria gaffe che meritò le critiche di mezzo continente. Sebbene da anni, ormai, i rapporti con Washington sono difficili – certamente per la propensione agli eccessi verbali di Caracas, ma anche e soprattutto per la proponsione statunitense a sconfinare nella politica interna del Paese sudamericano –, ciò non ha impedito di continuare con le forniture di greggio venezuelano, che costituiscono un'importante voce della bilancia commerciale tra i due Paesi.
C’è poi il caso dei rapporti con la Bolivia. Martedì scorso, il presidente Evo Morales ha ricevuto l’incaricato degli affari statunitensi in Bolivia col quale ha analizzato, tra i vari temi affrontati, la possibilità di riportare le rispettive rappresentazioni diplomatiche al rango di ambasciate. Nel 2008, l’ambasciatore stanitense venne espulso dal Paese dopo essersi riunito con i governatori dei dipartimenti che si opponevano al governo di Morales, in un momento di forte crisi politica. Successivamente, varie organizzazioni americane erano state espulse dalla Bolivia, con l'accusa di interferire nelle questioni interne.
Esagerazioni? Certamente, anche il presidente boliviano non è un amante della misura e del contenimento a verbale nelle sue esternazioni nei confronti della politica estera della Casa Bianca. Ciò nonostante, attualmente vari funzionari diplomatici statunitensi in Bolivia fanno autocritica ed ammettono che nel passato l’ambasciata Usa aveva influenza anche sui ministri. Tale autocritica ha infastidito addirittura l’opposizione repubblicana, che valuta come una debolezza questa ammissione di colpe.
A cosa si deve queste giro diplomatico statunitense nella regione? Chi si attende uno spirito maggiormente fraterno nei rapporti internazionali resterà deluso. La diplomazia è più devota del pragmatismo che delle virtù. Ma quand’anche le motivazioni di questi cambiamenti non siano tra le più ideali, non è questo un motivo per disdegnarle. Sono forse vari i motivi che concorrono a generare tale tour politico. La Casa Bianca non considera di certo una priorità l’America Latina.
Ciò nonostante, è cosciente che i governi locali hanno smesso di accettare indicazioni da Washington ed hanno scoperto che possono prescindere dai rapporti con gli Stati Uniti. La presenza di Cina e Russia nella regione è aumentata proprio durante i momenti di maggiore distanza tra questa e gli Usa. Il Brasile, un Paese autonomo nelle sue scelte, ma non avverso agli Usa, è poi parte del Brics, blocco internazionale che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ormai prossimo ad eguagliare il pil del resto del mondo.
Non è poi da dimenticare che i Paesi fin qui menzionati mantengono buoni rapporti con l’Iran in un momento in cui la Casa Bianca ha bisogno di appoggi per fare accettare internazionalmente il suo accordo con Teheran sul programma nucleare. In tal senso, va letto il commento di Evo Morales alla fine della sua riunione col rappresentante Usa nel suo Paese. “Prima gli Usa mi chiedevano di non mantenere relazioni con Cuba e l’Iran; ora gli Usa hanno buone relazioni con Cuba e Iran e noi non possiamo rimanere fuori da tale importante contesto politico”.
Infine, Obama sa che nella regione esiste certa sensibilità al tema del cambiamento climatico. Anche perché i Paesi in via di sviluppo sono i più vulnerabili ai fenomeni meteorologici in preoccupante aumento. Non è da scartare l'ipotesi che su questo tema, oggi prioritario per la Casa Bianca, sia possibile trovare alleati in America Latina che potranno sostenere l’idea di agire con misure concrete da formulare nel prossimo summit sul clima convocato a Parigi dall’Onu per la fine di novembre. Un ampio appoggio internazionale alle sue tesi sul tema, potrà certo aiutare Obama a convicenre l’opposizione repubblicana poco disposta a modificare lo stile di produzione e di consumo degli statunitensi.