Per gli Stati uniti d’Europa
Ai politici in difficoltà nel far nascere la Unione monetaria europea, venticinque anni fa Chiara Lubich indicava una direzione di lavoro che allora sembrava utopia ma che oggi si rivela profezia: «La soluzione di tutti i problemi, anche economici, sta nel essere pronti ad amare la patria altrui come la propria».
Che senso ha questa affermazione mentre ogni giorno si proclama che conviene pensare solo a noi stessi? Essa ha la saggezza del ricordare che gli italiani costituiscono solo 0.85 % della popolazione mondiale e da soli non hanno alcuna speranza di incidere sugli eventi futuri del mondo, quindi neppure dell’Italia; una qualche possibilità la avrebbero invece, tutti assieme, i 500 milioni di abitanti dell’Europa, il continente che per secoli ha ispirato lo sviluppo culturale e politico del pianeta.
Ma per poter incidere insieme, occorre considerare gli altri 440 milioni di europei come amici, come persone di casa il cui bene ci interessa come il nostro: tutti siamo alla ricerca di un futuro migliore per i nostri figli e nipoti e l’unica strada oggi concretamente percorribile sta nell’affrontare insieme le sfide del cambiamento ambientale, del rancore sociale, delle migrazioni dei popoli e di un lavoro per tutti, con un’ottica di collaborazione anche con gli altri popoli del pianeta. In particolare, per l’Europa collaborando allo sviluppo di quelli più “prossimi” del continente africano ribollente di vita.
Che fare dunque il prossimo 26 Maggio? Intanto andare certamente a votare, quindi, secondo chi scrive, scegliere i partiti che credono nei futuri Stati uniti d’Europa e condividono questa visione, evitando di disperdere voti in partiti che non hanno concreta speranza di superare la barriera del 4 per cento di consensi.
Quale programma per la nuova Commissione Europea?
Certamente gli statuti vanno riformati: occorre abolire l’obbligo della unanimità nelle decisioni, aumentare i poteri del Parlamento, istituire un presidente eletto ed un ministro degli Esteri e delle Finanze comune: fondamentale è trasformare la Banca centrale in prestatore di ultima istanza della Unione europea, come le altre banche federali negli Usa, in Giappone, in Cina, in Inghilterra e nei Paesi che non partecipano all’euro, in modo che essa possa – senza gravare sui debiti degli stati – prestare moneta a lungo termine alle Banche per lo Sviluppo per Investimenti nei Paesi europei e all’estero ed anche aiutare in casi eccezionali con misure di sostegno al reddito paesi dell’Unione in crisi.
Occorre poi obbligare le società multinazionali a pagare le imposte negli Stati in cui ottengono profitti, unificando nel tempo i sistemi di tassazione degli Stati europei, ma iniziando da subito con l’obbligare ad un comportamento corretto il Lussemburgo, l’Olanda, l’Irlanda, Cipro e chi altri in Europa per lucrare risorse fiscali o maggiori posti di lavoro favoriscono la elusione fiscale negli altri Stati dell’Unione, sottraendo ad essi una molto più importante entrata fiscale sui profitti ottenuti nel loro territorio da società estere, che potrebbe essere destinata a finanziare la spesa sociale ed a ridurre le diseguaglianze e di conseguenza il rancore tra ricchi e poveri.
La Banca centrale dovrebbe anticipare le risorse oggi versate dagli stati aderenti per la gestione della Unione, in attesa che la stessa si finanzi con imposte sulle transazioni finanziarie o sul web e con i profitti del “signoraggio” della Banca centrale; dovrebbe anche anticipare le risorse per grandi investimenti strutturali dei Paesi con moneta comune, offrendo così a chi ancora non vi aderisce un incentivo a raggiungere le condizioni di bilancio e legislative necessarie a farlo.
La Unione dovrebbe infine lanciare col supporto della Banca centrale un grande piano per lo sviluppo infrastrutturale, sanitario, formativo ed industriale ed energetico dei Paesi africani – che sarebbe di grande vantaggio per il lavoro delle industrie europee, che fornirebbero le tecnologie ed i prodotti industriali ad esso necessari – consapevole che il conseguente aumento di liquidità e la riduzione del rapporto di cambio dell’euro favorirebbe le esportazioni europee. Anche se con intenti meno altruistici, la Cina in Africa agisce così da anni.
Per combattere il cambiamento climatico e rispettare gli impegni di Parigi per il 2030, la Unione europea dovrebbe incentivare gli Stati a favorire la generazione distribuita di energia e le infrastrutture necessarie all’accumulo e utilizzo delle energie alternative (trasporto di idrogeno) e per prima cosa rendere obbligatorio l’adeguamento alle massime prestazioni energetiche di ogni edificio abitativo e industriale, erogando mutui per effettuare i lavori necessari, ripagabili con i risparmi conseguiti.
Dovrebbe infine incentivare gli Stati a favorire la inversione del trend demografico che in quasi tutti i suoi stati sta portando al rapido invecchiamento della popolazione, adottando politiche sociali e fiscali a sostegno delle famiglie numerose.
Altri punti dovranno certamente essere aggiunti ad un programma europeo da intitolare un “impegno mondiale per crescere insieme”, che superi i presenti ostacoli posti dai Paesi economicamente più floridi nel timore di dover condividere debiti altrui, creando ricchezza grazie ad una moneta comune che potrà diventare sempre più anche essa moneta rifugio, a scapito della ormai antistorica sovranità mondiale del dollaro.