Gli sfollati dimenticati
Un esempio tra i tanti: ci sono mille sfollati nella sola città di Teramo e più di 3 mila nella provincia. Rispetto ad altri centri più colpiti, anche nei sismi esistono i dimenticati, in particolare i senzatetto. L’occhio dei media mette a fuoco i grandi disastri; ma, a volte, dimentica chi, pur non essendo ferito, comunque ha perso tutto, ha dovuto abbandonare la propria abitazione con tutto ciò che comporta, in disagi materiali, spaesamento e disagio psicologico.
Si tratta, in fondo, dell’abitudine cinica ai grandi numeri, ai grandi disastri, a dare notiziabilità ai fatti più efferati, con il più grande numero di morti, alle immagini più ad effetto. Perché è più facile da raccontare, più potente da far vedere, meno faticoso da trovare, da scovare, più veloce da scrivere e filmare. La quotidianità è invece più monotona, più lenta, meno emozionale, ma più profonda perché ha bisogno di tempo per apparire. «Gli psicologi che studiano l’empatia e la compassione – scrive lo scrittore Johnathan Safran Foer – stanno scoprendo che a differenza di una quasi istantanea reazione al dolore fisico, al cervello occorre tempo per comprendere la dimensione psicologica e morale di una situazione». Ciò vuol dire, in soldoni, che la rapidità va a scapito della profondità. La stessa mancanza di ascolto che spesso mettiamo nelle relazioni interpersonali, si può riflettere anche nella scrittura, nella televisione. Scrivere di morti e feriti è più facile che scrivere dei senzatetto. Ma anche per il comunicatore di professione si può applicare la frase di Simone Weil: «L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità». Anche verso gli sfollati dimenticati.