Gli orizzonti dell’adozione

Le richieste delle coppie per adottare un minore straniero o nazionale sono in calo da anni per motivi economici, burocratici e culturali: lo evidenzia una recente pubblicazione della Commissione per le adozioni internazionali
adozioni

In un recente studio della Commissione per le adozioni internazionali si evidenzia in modo chiaro come il numero delle richieste di adozioni sia in costante diminuzione, sin dal 2004 per le adozioni internazionali, e sin dal 2006 per quelle nazionali. Un calo che supera, in entrambi i casi, il 30 per cento. La situazione è grave perché il dato tendenziale, cioè se le richieste continuano a decrescere con questo andamento, porterebbe in soli dieci anni alla totale scomparsa delle domande di adozione.

Il dato statistico non ha, però, inciso sulle adozioni reali che sono in costante aumento tanto che si registra, nel primo semestre del 2011, un più 15,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010. Sono i frutti della semina abbondante degli ultimi anni. Martina Gennari è la responsabile delle adozioni internazionali della Fondazione Avsi. «L’adozione internazionale – così è definito nel sito dell’Avsi – è quella scelta libera e responsabile con cui i coniugi si offrono, con totale gratuità, per diventare padre e madre di un bambino straniero non nato da loro e che ha bisogno di una famiglia in cui crescere, sentirsi voluto ed amato».

 

Come leggere i dati della Commissione per le adozioni internazionali. Il dato incontrovertibile è che il numero di richieste delle coppie per adottare un bambino sono in costante diminuzione?

«I dati rendono evidente dal punto di vista statistico, quello che gli enti autorizzati e i servizi adozione del pubblico notavano già da diverso tempo e cioè un calo generalizzato delle domande di adozione ancor prima della fase istruttoria e poi a cascata in tutti i passaggi successivi».

 

Quali sono le ragioni e i motivi di questo calo?

«I motivi possono essere vari, dovuti a diversi fattori: il più semplice è quello legato alla crisi economica in atto da qualche anno, chiusura delle imprese, perdita di lavoro, instabilità: adottare un figlio all’estero costa e costa poi mantenerlo sia che si tratti di figlio italiano o straniero, per cui le persone preferiscono accantonare il desiderio di diventare genitori per il timore di non farcela poi a sostenerne il carico economico. Ci sono, poi, una serie di fattori oggettivi come l’elevarsi dell’età dei bambini che arrivano all’adozione internazionale e la complessità delle storie che si portano alle spalle che rendono obiettivamente più difficile oggi vivere una relazione adottiva e costruire un rapporto di figliolanza rispetto al passato. A questo si aggiunge la difficoltà maggiore rispetto al passato ad adottare in tanti Paesi, vuoi perché si sono aperti all’adozione nazionale, vuoi per il prevalere di politiche nazionalistiche contrarie all’adozione internazionale. Inoltre, non si può negare che, negli ultimi anni, ci sia stata una "pubblicità " negativa riguardo all’adozione presentata, anche a livello dei servizi – oltre che dai media e dall’opinione pubblica – come una scelta foriera di guai e fatiche tali da consigliare di lasciar perdere, che si può sintetizzare nella frase del buon senso comune che spesso viene data come consiglio a chi si avvicina all’idea adottiva: “ma chi ve lo fa fare? Perché volete andarvi a cercare dei guai?”. Anche culturalmente si stia affermando sempre di più un egoistico chiudersi nel proprio benessere e un rifiuto del sacrificio inerente al fatto di essere genitori. Questo vale per l’adozione come per la generazione biologica, ma nell’adozione è più evidente perché il sacrificio è maggiore. E in generale c’è un notevole aumento dell’età in cui si comincia a far figli e di conseguenza ci si accorge più tardi della eventuale esistenza di forme di sterilità. A questa scoperta oggi spesso fanno seguito da parte delle coppie, svariati tentativi di fecondazione assistita, dai quali spesso escono molto provate e frustrate sia psicologicamente che fisicamente e c’è una perdita di energia che porta a considerare l’adozione come ultima possibilità, percorso che si intraprende ad età spesso parecchio avanzata, con tutte le conseguenze che questo comporta. Vero è anche il fatto che il percorso per arrivare all’adozione sia nazionale che internazionale è così lungo che scoraggia molti».

 

Com’è la situazione quest’anno della vostra organizzazione per quanto riguarda le adozioni internazionali? C’è un calo o un incremento?

«Per la Fondazione Avsi, la nostra organizzazione accreditata, nell’anno in corso c’è stato un incremento di procedimenti conclusi, ma si tratta di coppie che avevano dato mandato diversi anni fa. C’è invece una diminuzione nei numeri dei mandati rispetto alle previsioni e anche delle coppie che si avvicinano per avere informazioni».

 

Quali sfide culturali proporre per far ripartire la voglia di adottare un bambino?

«Va posta una sfida culturale sulla gratuità e sull’accoglienza dell’altro, visto non solo come l’appagamento di un desiderio naturalissimo, ma come un arricchimento per sé e per la propria vita di famiglia oltre che personale. Così come ci viene testimoniato da chi la sfida dell’adozione la sta vivendo come realtà per sua natura feconda e aperta all’accoglienza dell’altro nella sua diversità.

Si potrebbe, inoltre, mettere in atto a livello delle autorità istituzionali la costruzione di una rete di relazioni con i Paesi di origine dei bambini per far capire loro che certe lungaggini nel dichiarare lo stato di adottabilità non servono a nessuno, tanto meno ai bambini perché per loro è più naturale vivere in una famiglia piuttosto che in una istituzione. Inoltre, non si adottano dei bambini per portarli via dal loro Paese, ma per dargli un futuro».

 

 

 

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