Gli insospettabili sostenitori dell’azzardo di massa

Dal patto siglato tra Lottomatica e Sovrintendenza ai beni culturali di Cagliari alle tesi della Fondazione Visentini presentate all’università di Confindustria, avanza una forzata normalizzazione di un vero e proprio “cancro sociale”. La resistenza delle associazioni e delle amministrazioni comunali come quelle di Cagliari, Alghero e Sassari

L’azzardo fa paura. Rovina famiglie, devasta territori, impoverisce il tessuto sociale di una nazione, la nostra, già martoriata da una durissima transizione economica. E sta crescendo a dismisura: dai 35 miliardi giocati nel 2006 ai 98 del 2016; raccolta triplicata in 10 anni.

Gli amministratori locali, i sindaci, sanno bene quali sono i danni provocati da questa esplosione di azzardo, li vedono tutti i giorni, e infatti intervengono, sempre più numerosi con regolamenti restrittivi su orari di apertura e distanze dai luoghi sensibili. Gli ultimi in termini di tempo sono stati i Sindaci di Alghero, Cagliari e Sassari, tre città di una regione come la Sardegna, che detiene in Italia, il non invidiabile primato del più alto numero di slot-machine per abitante. E lo sanno bene i cittadini, molti toccati direttamente o indirettamente dalla piaga dell’azzardopatia, e i tantissimi che, per sensibilità personale e senso civico, hanno iniziato a contrastare questo vero e proprio “cancro sociale”, come non si stanca di definirlo papa Francesco, con gli Slot Mob, per esempio, con scelte che premiano quegli esercizi che hanno rinunciato ai soldi dei più fragili e vulnerabili.

Da una parte dunque, sindaci e amministratori locali preoccupati per la salute pubblica messa a rischio dalla proliferazione dell’offerta di azzardo in ogni dove e cittadini consapevoli che aprono gli occhi e reagiscono a decine di migliaia premiando i locali che hanno rinunciato ai proventi del gioco d’azzardo; uno dei tanti mezzi, questo “voto col portafoglio” cui fa riferimento, papa Francesco quando esorta a lottare – con ogni mezzo, appunto – per arginare «azzardo e usura [che] generano continui fallimenti, non solo economici, ma anche famigliari e esistenziali».

Dall’altra abbiamo la lobby dell’azzardo che, con ogni mezzo, cerca di “normalizzare” la sua azione attraverso iniziative volte a rendersi socialmente accettabile, attraverso elargizioni, sponsorizzazioni, studi, ecc…

Qualche giorno fa, mentre il principale quotidiano dell’Isola titolava una sua inchiesta “Azzardo, Cancro Sociale”, veniva presentata l’accordo che la Soprintendenza ai beni culturali per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna ha stretto con “Il Gioco del lotto”, per la “valorizzazione” di alcuni beni culturali.

Dietro il rassicurante marchio “Il Gioco del lotto”, in realtà, si nasconde un colosso che, fa capo ad una delle più grandi multinazionali del settore e che gestisce slot-machine, gratta e vinci, poker online e scommesse; tutto l’armamentario, insomma, che l’industria dell’azzardo, con il colpevole benestare dei governi degli ultimi anni, ha messo in piedi per drenare ricchezza dai più fragili e vulnerabili.

E con grande successo a leggere i numeri. Un settore gestito prevalentemente da enormi imprese che hanno come unico fine quello del profitto. Scrivono i due Premi Nobel, Robert Shiller e George Akerlof, nel loro libro sull’economia della manipolazione e dell’inganno, che le slot-machines sono il chiaro esempio di «pratiche commerciali paragonabili alle cellule cancerose che si insinuano nel normale equilibrio del corpo umano».

Ci pare desolante che la tutela del nostro patrimonio artistico sia nelle mani di chi presta a simili operazioni pubblicitarie senza vederne gli effetti controproducenti per la nostra società: la legittimazione di imprese che si arricchiscono con i soldi dei più fragili e vulnerabili, che creano malattie e impoveriscono, sotto tutti i punti di vista, le nostre comunità. Questa è appunto la finalità legittimare, costruendo un alone di responsabilità intorno a imprese che responsabili non possono esserlo per definizione.

La stessa operazione si svolge anche su altri piani, più sottili, ma non per questo meno pericolosi. A livello linguistico, per esempio. Da tempo è in atto il tentativo di modificare il lessico dell’azzardo, sostituendo questa parola, che ha davvero iniziato a far paura, con le più accettabili “gioco lecito” o “gaming”, equivalente edulcorato dell’inglese “gambling”. Oltre il livello lessicale c’è poi quello delle idee, alimentate da studi e ricerche a costante rischio di conflitto di interessi.

L’ultimo di questi studi, in ordine di tempo, è stato presentato il 9 maggio alla Luiss durante un convegno cui ha partecipato anche il sottosegretario all’economia, con delega ai giochi, Pier Paolo Baretta. Significativamente alla Luiss, l’università di Confindustria la cui sezione “Sistema Gioco Italia”, che viene definita la “federazione di filiera dell’industria del gioco” (d’azzardo non lo dicono), altro non è che una delle più importanti lobby del settore.

Lo studio è intitolato “Rapporto sulla percezione del gioco d’azzardo in Italia” ed è stato prodotto dalla Fondazione Bruno Visentini, che vanta, tra le altre, una convenzione proprio con Sistema Gioco Italia. La finalità prima dello studio è quella di «fornire un’analisi chiara, dettagliata e puntuale del gioco d’azzardo in Italia libera da preconcetti». Finalità assolutamente meritoria, in settore nel quale avere dati chiari è praticamente impossibile, se non fosse per il conflitto di interessi che potrebbe, anche se non necessariamente, inficiare la validità dei risultati.

Ma veniamo al risultato principale: l’azzardo fa bene, produce ricchezza, l’1,1% del Pil e occupazione, 150.000 occupati nel settore e tutto a fronte di un misero 0,9% di giocatori che possiamo definire problematici.

Naturalmente questi numeri sono contestabili uno per uno: un calcolo corretto della produzione di ricchezza dovrebbe essere controfattuale, cioè, considerare ciò che viene prodotto e ciò che si sarebbe potuto produrre.

Per esempio la procura nazionale antimafia stima che l’azzardo costi allo Stato 30 miliardi di euro in termini di costi sociali. Questi dove li mettono gli esperti della Fondazione Visentini?  Gli occupati del settore sono 150.000 se contiamo anche tutti quei baristi, tabaccai e commessi di autogrill che pur vendendo gratta-e-vinci non ne fanno certo il loro business principale. Veniamo poi ai giocatori problematici. Sono “solo” lo 0.9% dei giocatori. Ma quanti sono i giocatori? Quelli sono il 44% della popolazione italiana e cioè, contando solo coloro tra i 18 e i 75 anni, circa 45 milioni. Lo 0.9% di 45 milioni sono “solo” 180 mila persone. Occorrerebbe tenere conto, poi, che la problematicità del giocatore viene valutata attraverso domande come queste: «Pensi di avere un problema con il gioco d’azzardo?» oppure «Hai dovuto chiedere soldi in prestito o venderti qualche cosa per giocare d’azzardo?» e ancora «Hai avuto problemi finanziari a causa del gioco d’azzardo», insomma, tutte domande alle quali si risponde volentieri e in maniera assolutamente sincera, quando fatte da uno sconosciuto al telefono. Permetteteci di essere almeno un po’ cauti sull’interpretazione di questi dati.

Ma che i ricercatori autori dello studio non siano stati per niente cauti nell’interpretazione dei loro dati lo testimonia la fantastica conclusione alla quale il loro ragionamento li conduce: l’azzardo fa bene, abbiamo visto, perché crea ricchezza, posti di lavoro e produce solo 180 mila azzardopatici, quindi va incentivato anche perché: «Se in un impeto di proibizionismo fossero messi al bando tutti i giochi d’azzardo, gli attuali giocatori problematici finirebbero con molta probabilità per diventare consumatori compulsivi di altri servizi e prodotti legali come gli alcolici o il tabacco».

Come dire che quelle persone sono condannate comunque, quindi che giochino d’azzardo, perché solo così poteranno evitare tumori e cirrosi. Dobbiamo aggiungere altro?

 

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