Gli inganni di Cleopatra
Leggo, attirato dal titolo, Gli inganni di Cleopatra. Di quali inganni si tratta? Del lusso inconcepibile col quale la regina d’Egitto, al fine di conservare il trono dopo il predominio di Roma, riuscì ad affascinare il triumviro Marco Antonio mentre risaliva il Cidno sul suo battello dorato, sollecitando tutti e cinque i sensi, compreso l’olfatto. Narra infatti Plutarco: «Odori meravigliosi, sprigionati da molti profumi, si spandevano sulle rive del fiume».
La stessa “strategia olfattiva” Cleopatra aveva già usato con Cesare per ottenerne il favore, dopo la battaglia navale di Farsalo nel 48 a. C.: nel favoloso banchetto apprestato da lei in onore del vincitore – segnala a sua volta il poeta Lucano – «i convitati furono omaggiati bagnando le loro chiome con raffinati profumi di amomo e cinnamomo». Del resto, la patria dei faraoni era celebre nel mondo antico per i suoi unguenti e profumi, commercializzati in tutto il Mediterraneo.
Come recita il sottotitolo Fonti per lo studio dei profumi antichi, il volume edito da Olschki è una raccolta di testi greci e latini sull’argomento, in lingua originale e traduzione italiana. Gli autori – storici, botanici, eruditi, medici, oratori e poeti – elencano «spezie, aromi e profumi, fornendo informazioni sull’habitat delle principali piante aromatiche; su coltivazione, raccolta e commercio delle spezie; sull’uso – in genere considerato inopportuno e moralmente disdicevole – degli oli fragranti da parte di uomini e donne; su tecniche e segreti dall’arte profumiera».
Scrive nell’Introduzione il curatore Giuseppe Squillace, docente di Storia greca presso l’Università degli studi della Calabria (Rende): «Dopo essere stato largamente ignorato nei secoli scorsi, il tema degli odori e, nello specifico, dei profumi in relazione al mondo antico è stato preso in considerazione da studiosi francesi, con una serie di lavori che hanno avuto il merito di destare l’interesse sull’argomento sia in Italia, sia nel mondo anglosassone, sia in Germania. Un primo passo, certamente, ma ancora troppo poco per un argomento di ricerca su cui tanto rimane da indagare! La speranza – ed è questo il malcelato obiettivo di questa antologia – è che i giovani, affascinati e sedotti dai racconti di quelle fonti, che disegnano un mondo di “altro tipo” fatto non solo di battaglie, tregue, paci, prigionieri e massacri, ma anche di quotidianità, abitudini e mode, possano avviare nuove ricerche sul tema e far luce su problemi e aspetti che attendono di essere finalmente chiariti e svelati».
Insomma, si attende la riscoperta della dimensione anche “olfattiva” della storia umana: quella, peraltro, che le ricerche archeologiche da tempo vanno mettendo in luce, basti pensare soltanto ai musei archeologici di tutto il mondo traboccanti di unguentari, ampolle e contenitori d’ogni foggia, testimoni di un fiorentissimo mercato specializzato nel mondo allora conosciuto.
Sempre a proposito di Cleopatra, è notizia recente che, combinando informazioni storiche, archeologiche e analisi chimiche, è stato possibile ricreare il profumo probabilmente utilizzato dall’ultima sovrana del Regno tolemaico. Tutto è iniziato nel 2012, quando un gruppo internazionale di egittologi ha messo in luce nel sito archeologico di Tmui (odierna Tell El-Timai) – una città sul delta Nilo nota per la produzione dei due profumi più diffusi nell’Antico Egitto – il laboratorio di un profumiere completo di vasi e anfore con residui delle fragranze ottenute. Cardamomo, cannella, mirra, resine e altre spezie esotiche sono gli ingredienti accertati da un team di ricerca tedesco per arrivare a riprodurre il cosiddetto “profumo di Cleopatra”.
Recente è anche la curiosa notizia di una mostra olfattiva, cioè “da odorare” oltre che da vedere, al Museo del Prado. Fulcro dell’esposizione, intitolata L’essenza di un dipinto, era un olio su tavola di Pieter Paul Rubens e Jan Brueghel il Vecchio, Il senso dell’olfatto, dove Cupido offre un bouquet di rose, garofani e gelsomini a Venere nella cornice bucolica di un giardino affollato da oltre 80 specie di piante e di fiori e alberi d’ogni sorta, ma anche da animali e oggetti associati all’olfatto e al mondo dei profumi. Ebbene, oltre a godersi lo spettacolo di questo capolavoro allegorico, il visitatore ha potuto addirittura “respirare” dieci fragranze floreali presenti nel dipinto grazie a quattro diffusori all’interno della galleria.
Esisteva poi una vera capitale dei profumi, famosa in tutto l’Impero romano per il suo mercato di questo genere così richiesto, soprattutto in ambito femminile: Capua, centro della opulenta Campania Felix che prima di subire il giogo romano rivaleggiò con la stessa Roma. Ebbene, l’attuale Santa Maria Capua Vetere, durante la sua fase romana, arrivò a dotarsi di un secondo foro per ospitare quello che fu il più grande mercato di profumi dell’antichità, il Seplasia, così importante da generare due neologismi: seplasiarius per indicare i fabbricanti di profumi e seplasiarium per le botteghe di vendita. Due parole diventate d’uso comune in tutto l’Impero, a prescindere dalla vera e propria produzione capuana.
A Seplasia si vendevano cosmetici a base soprattutto di essenze di mirto, narciso e rose, queste ultime usate per produrre il celebre rhodinon italikon, vera e propria punta di diamante di tutta la produzione: ciò che – insieme alle altrettanto famose rose di Paestum – richiedeva estese colture, come attesta lo storico Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia: «A tal punto la terra non cessa di generare che per questo comunemente si dice che si produce più profumo in Campania che olio nelle altre regioni».
Quando immagino quei roseti sterminati, una vera festa per gli occhi, e gli effluvi inebrianti che dovevano avvertirsi per chilometri, non posso non rammaricarmi per il degrado di quella che oggi viene ricordata troppo frequentemente come “Terra dei fuochi”.
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