Gli incantesimi di Radu Lupu
A settant’anni, col suo aspetto da pope ortodosso, la camminata tranquilla, Radu Lupu – verrebbe da dire – ha raggiunto il sommo equilibrio, ossia l’armonia perfetta tra ispirazione ed interpretazione. In una parola, la divina naturalezza di Mozart. Così il celebre Concerto n. 21 per pianoforte e orchestra, anno 1785, che inizia quasi sottovoce per poi gareggiare – strumento e orchestra – insieme con spigliata levità, quando, dopo la pausa del primo tempo si apre (è il caso di un’apertura che è un "ingresso") nel più famoso Andante del musicista, ci fa trovare subito in un’altra dimensione. E il pubblico, talvolta un po’ rumoroso all’Accademia romana di Santa Cecilia, sta ora col fiato sospeso. Lupu con una naturalezza straordinaria canta la melodia che si alza come una fontana zampillante di luce, tra i pizzicati degli archi, gli interventi pastosi degli ottoni, le lusinghe dei fiati. Nessuno strumento supera l’altro, tutto è scambio: l’orchestra ceciliana che Fabio Luisi, grande signore della musica, conduce con eleganza sobria, pare trasformata nelle levità divina mozartiana. Se c’è un paradiso, questa deve’essere la sua musica.
Ovvio, che alla fine del concerto, scroscino gli applausi che Lupu accoglie con semplicità e calore nei riguardi del direttore e dell’orchestra, proponendo come bis uno Chopin sciolto nella luce.
Nella seconda parte del concerto, di fronte alla monumentale Sinfonia n. 4 “Romantica” di Bruckner il salto d’atmosfera è notevole, Luisi dirige da par suo – preciso e nobile – il denso tardoromanticismo bruckneriano, gravido di intenzioni mistiche, di sentimenti wagneriani, di “arie” che si aprono ad un universo sonoro. Gran prova dell’orchestra. Una serata da non dimenticare.