Gli impresentabili
La corruzione è il peccato capitale della democrazia e sgretola le basi della convivenza. Il caso degli “impresentabili” si colloca all’interno della strategia per la legalità, la trasparenza e la consapevolezza critica degli elettori che ha sollecitato l’istituzione dell’Agenzia nazionale anticorruzione, l’applicazione della legge Severino e il conferimento dei poteri d’indagine alla Commissione antimafia.
Ci vorrà del tempo, ma inserendo anticorpi nei partiti e nelle pubbliche amministrazioni, con la partecipazione attiva dei cittadini, si attuerà quella rivoluzione culturale e morale che consentirà di non presentare chi “candido” non è, applicando semplicemente i codici etici dei partiti, associazioni private con funzioni pubbliche.
Questo non è avvenuto nelle attuali elezioni regionali. La vicenda si è poi chiusa col colpo di scena della pubblicazione da parte della Commissione Antimafia di un elenco di sedici “impresentabili” a poche ore dal voto. La presenza di un candidato alla Presidenza della Campania ha amplificato il tutto.
Il problema, rimosso dall’interessato e sottovalutato dal suo partito, è quello di un aspirante governatore che, per effetto di una legge in vigore, rischia di non poter esercitare la funzione in caso di vittoria. Si tratta di un evidente pasticcio all’italiana. Si mescolano infatti in un calderone personaggi con carichi pendenti di vario genere, ai quali la legge non impedisce la candidatura ed altri che, pur avendo una storia politica considerata positiva, un impedimento di legge lo avrebbero.
Nell’ottica del bene comune e dell’unità del sistema politico, si può rilevare da un lato il ritardo della magistratura nel giudicare in via definitiva gli imputati e dall’altro l’incapacità di alcuni partiti e liste civiche collegate, di selezionare una classe dirigente locale “candida” appunto, applicando severamente il codice etico.
In questa storia viene fuori la debolezza attuale dei partiti politici, spesso ridotti a comitati elettorali non radicati tra i cittadini, la loro disperata ricerca di consenso in un quadro di debole cultura politica e di affidamento a personaggi che si ritiene capaci di portare pacchetti importanti di voti. Il quadro è assurdo: o si è candidabili per legge o non lo si è, o si è colpevoli per sentenza definitiva o si è innocenti. Su tutte le altre situazioni l’unico giudice titolato ad esprimersi è il popolo sovrano.
L’antidoto al fenomeno è la riforma della giustizia con tempi ragionevoli per la sentenza definitiva insieme a quella dei partiti, disciplinando la democrazia interna e le tante fondazioni e liste civiche collegate, anche ai fini della trasparenza dei finanziamenti elettorali, imponendo l’applicazione severa dei codici etici e la rendicontazione online di ogni euro percepito dai sostenitori.
Questo toglierebbe alla Commissione antimafia alcuni compiti non direttamente inerenti al contrasto alla criminalità organizzata. Alcuni giuristi infine hanno espresso dubbi sulla correttezza di varare simili liste a ridosso del voto con il rischio di un moralismo esasperato e superficiale.
Occorre evitare l’appiattimento etico sul codice penale. Spetta ai partiti “riformati”, che concorrono a determinare la politica nazionale con metodo democratico, filtrare le candidature con rigore applicando poche regole certe interne di non candidabilità come in diversi casi si è già verificato.