Gli eredi del Saladino e lo Stato islamico

Un popolo di 40 milioni di persone diviso in quattro Stati e privo ancora di una propria autonomia, in prima linea nella lotta contro i terroristi, potrebbe trovare un suo ruolo internazionale. Il 25 settembre ci sarà un referendum nel Kurdistan iracheno per decidere l'indipendenza dei curdi dall'Iraq.

Nelle rappresentazioni dei pupi siciliani, il “feroce Saladino” è il nemico per eccellenza dei paladini di Carlo Magno, come Orlando, Rinaldo e la bella Angelica. Un “cattivo”, quindi. In realtà, Salah ad-Din visse alcuni secoli dopo i paladini e fu il sultano che sconfisse i crociati nella decisiva battaglia dei Corni di Hattin (4 luglio 1187) che segnò l’inizio del definitivo declino del Regno crociato di Gerusalemme.

Saladino è quindi considerato cattivo e feroce solo dalle leggende europee, mentre per gli storici è uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi, noto nel mondo islamico come “il sovrano vittorioso” (al-Malik al-Nasir). Il vero Salah ad-Din, inoltre, non era affatto saraceno, essendo nato a Tikrit (nell’attuale Iraq) nel 1137 da una nobile famiglia curda. E in quanto a ferocia lo si potrebbe considerare un agnellino rispetto al suo grande rivale, il sovrano inglese Riccardo Cuor di Leone. Scrive John Man nella sua biografia (2015) del grande sultano: «Saladino scelse spesso la tolleranza, Riccardo l’atrocità».

Quindi Saladino era curdo, e come tale discendente degli antichi medi. Era come i peshmerga, i combattenti che da un secolo difendono con le armi il diritto dei curdi ad avere una propria patria e che hanno contribuito quest’anno, in modo determinante, alla conquista di Mosul e sono in prima linea nell’accerchiamento dello Stato islamico a Raqqa e Deir Ez Zor. Quei peshmerga sostenuti dagli Usa (con il disappunto del presidente turco Erdogan) e addestrati da militari della coalizione internazionale anti-Daesh di cui fa parte anche l’Italia.

MosulFra i combattenti curdi c’è anche un reggimento (4 battaglioni) di 500 donne. Nessrin Abdallah, una trentenne rojava del Curdistan siriano che comanda l’Unità di difesa delle donne del popolo curdo (Ypj), ha detto in una intervista di due anni fa: «L’obiettivo più urgente oggi è far cessare le crudeltà disumane inflitte dall’Isis e costruire la libertà per noi curdi… Non consideriamo la battaglia solo come una lotta militare, ma anche come una lotta culturale, sociale e di valori che ci dà la possibilità di costruire le basi di un nuovo modello di vita sul nostro territorio… Oggi l’Isis è una minaccia per tutto il mondo, dunque la nostra è anche una lotta per salvare i valori dell’umanità» (da un’intervista di Francesca Bellino su Huffingtonpost.it).

La presenza delle combattenti curde, e più in generale del modello curdo di presenza delle donne nella vita politica, sconcerta i jihadisti (che hanno delle donne una visione molto diversa), indigna il turco Erdogan (per il quale i curdi sono tutti terroristi: donne, uomini e perfino anziani e bambini) e fa paura a molti, non solo agli islamisti.

La simpatia dell’opinione pubblica occidentale che circonda i curdi fa paura anche ai signori delle politiche mediorientali: nessuno (dagli Usa all’Iraq stesso) vuole concedere una patria ai curdi (40 milioni di persone), attualmente separati in 4 grosse “minoranze” all’interno di Turchia, Iraq, Siria e Iran. I curdi chiedono una patria e in questi anni si sono conquistati di fronte al mondo il diritto di averla. Questo è il significato del referendum indetto per il 25 settembre nel Kurdistan iracheno.

Ma che succederà dopo l’imminente sconfitta dello Stato Islamico? Intanto i molti galli nel pollaio mediorientale non sembrano molto convinti che la fine della stagione Daesh possa risolvere alcunché, anzi si intravedono già problemi ancora più grossi, fra i quali non sono di poco conto l’espandersi in Europa del terrorismo jihadista in franchising e la “gestione” dei foreign fighter che cercheranno di rientrare in patria o che confluiranno in nuove formazioni di professionisti del terrore.

Ai tremendi scenari di guerra in Medioriente pare che non si possa o non si voglia trovare una soluzione. Sono purtroppo molti gli interessi in gioco e troppo scarsi i politici che sanno guardare oltre il proprio naso.

Al suo tempo, Saladino riuscì ad aprire le porte del suo mondo ad una svolta imprevedibile, positiva e durevole, pur con tutti i limiti e i distinguo. E lo fece servendosi della forza con autorevolezza, scegliendo la tolleranza e rifiutando l’atrocità.

 

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