Gli educatori siano maestri di speranza
Tempi difficili questi. La guerra in Ucraina e la crisi mondiale economico-politica che si è innescata dal conflitto stanno mettendo in discussione tutto e tutti: appartenenze, valori, prospettive. Non siamo più quelli di prima né sappiamo di chi fidarci, dove andare, con chi. Dentro a una complessa rete in continuo cambiamento, ci comportiamo come una specie di “Giano bifronte” dalle molteplici sfaccettature, in una perenne ricerca della nostra identità, frastornati dentro a centomila sollecitazioni, tra una folla che ci trascina e, allo stesso tempo, ci respinge dal mondo e da noi stessi.
Uno sconvolgimento antropologico-culturale di ampia portata – questo – di cui, come adulti, dovremmo in un certo senso “inquietarci” accettandone la sfida più impegnativa e a lungo termine, quella del nostro impegno educativo, consapevoli che da questa “scommessa” dipenderà il futuro delle prossime generazioni. Ci troviamo nel bel mezzo di una debolezza identitaria di cui dovremmo prender coscienza e da cui trarre motivi buoni di ritrovare quel coraggio di “testimonianza” di cui i giovani hanno un bisogno vitale, più urgente del cibo di cui si nutrono. Perché, se questa stessa generazione adulta smentisce se stessa e si ritrae dal suo compito educativo, è il suo generare stesso che si involve in un gesto d’abbandono dei giovani. In questo orizzonte, famiglia, scuola, istituzioni, comunità tutta sono interpellati per primi come “maestri credibili” di speranza.
Nello scenario post-moderno qualcuno parla di un “nuovo tradimento” degli adulti, incapaci di comprendere per quali valori educare i propri figli. Una vera emergenza oggi – quella dell’educazione – per la quale serve ritrovare il coraggio di una vision, di un progetto, per introdurre le giovani generazioni alla vita nella sua profonda essenza. Essa richiede la condivisione di una medesima saggezza, che impegni la vita stessa nella sua totalità. Tutti, in questo senso, siamo educatori: come genitori, insegnanti, lavoratori, politici, economisti o imprenditori.
In questo ampio contesto, una questione molto dibattuta riguarda il ruolo che oggi la scuola dovrebbe svolgere e, soprattutto, le caratteristiche di personalità e le competenze che fanno di un insegnante un “buon” insegnante. Domande a cui occorrerebbe porre più attenzione, consapevoli che l’essere insegnante non dipende solo dal sapere o dal saper fare, pur necessari e importanti, ma anche dal valere, dall’essere riconosciuto e accettato agli occhi del giovane come mediatore credibile tra le insicurezze e le verità che cerca.
Da qui due domande, per certi versi scomode, che gli insegnanti dovrebbero porsi sia a livello personale sia come comunità scolastica: «Qual è la mia, la nostra identità?» e «Qual è la mia, la nostra eredità per il futuro delle giovani generazioni?». Domande – queste – a cui non dobbiamo sottrarci e che anche la scuola, principale agenzia educativa assieme alla famiglia, deve porsi nel suo quotidiano farsi cultura. Perché, se non abbiamo cura dell’educazione, se una generazione adulta non continua nella trasmissione del sapere e del sapere della vita, e non si pone per prima quelle domande vere che danno senso all’esistenza, questa generazione adulta smentisce se stessa.
Quali insegnanti si meritano i nostri giovani? Quale figura d’insegnante per il XXI secolo? Tanti di noi hanno seguito con apprensione le non facili vicissitudini di un recente, controverso decreto legislativo (successivamente convertito nella legge 79/2022) sul reclutamento, sulla formazione iniziale e in servizio dei docenti: una riforma a lungo attesa, ma formulata in modo alquanto frammentato e lacunoso, senza un preventivo confronto con le categorie professionali interessate. Essa, comunque, se ne vogliamo intravedere qualche pregio, ha innescato un interessante dibattito sulla funzione e sul ruolo svolto dai docenti, che è nucleo fondante la qualità dell’istruzione e della cultura, della vita stessa di intere generazioni. Perché un buon insegnante può cambiare la vita dei ragazzi e migliorare la società.
Cosa fanno di speciale gli insegnanti? Fanno la differenza
A Loppiano un seminario con i finalisti italiani del Global Teacher Prize
È da un tema cruciale come quello dell’essere docente che l’Istituto universitario Sophia, insieme alla più vasta Rete insegnanti Italia, ha sentito di doversi interrogare promuovendo un seminario di studio nei giorni 22 e 23 ottobre 2022 presso la Cittadella internazionale di Loppiano, nel Comune di Figline e Incisa Valdarno, in Toscana. Uno straordinario appuntamento a cui parteciperanno come relatori principali i finalisti italiani al Global Teacher Prize, una specie di “premio Nobel” assegnato ai migliori insegnanti selezionati a livello mondiale. Sarà una straordinaria occasione per la condivisione di esperienze e di pratiche
d’insegnamento tra docenti provenienti da vari contesti scolastici italiani ed europei. Già dal titolo del seminario ben se ne comprendono le motivazioni e gli obiettivi che esso si prefigge: “Cosa fanno di speciale gli insegnanti? Fanno la differenza”. In un mondo disorientato, infatti, un buon insegnante, con la sua passione e competenza, può effettivamente fare la differenza e dare speranza al futuro delle giovani generazioni.
Per informazioni contattare il numero 3479593829