Gli azzurri conquistano i mondiali di tiro a volo
Se c’è una cosa che un appassionato italiano di sport fa proprio fatica ad accettare è la disparità di trattamento generalmente riservata dai principali media ai successi degli atleti azzurri. Per i nostri campioni di determinate discipline, infatti, sono spesso realizzati titoli a nove colonne sui giornali o ampi servizi nel telegiornale della sera. Per i campioni di altri sport, invece, anche in caso di un risultato di assoluto prestigio, come può essere la conquista di una medaglia in un campionato del mondo, ben che vada troverete un articoletto di poche righe nelle pagine finali del giornale, o un breve annuncio a fine edizione del Tg.
Prendete ad esempio i recenti mondiali di tiro a volo terminati mercoledì 25 settembre a Lima, in Perù. Quanti di voi sapevano che era in corso questa manifestazione? Non molti, vero? E quanti sono poi venuti a sapere che l’Italia si è classificata al primo posto del medagliere finale? Davvero pochi, crediamo. Per carità, non bisogna stupirsi più di tanto se i successi ottenuti dai nostri tiratori negli ultimi giorni sono passati sostanzialmente sotto silenzio. È inevitabile, se sono in pochi a parlarne… Eppure è un vero peccato, perché questi atleti, di cui ci s’interessa solo una volta ogni quattro anni nella speranza che arricchiscano il nostro medagliere alle Olimpiadi, sono sportivi e campioni con una dignità identica a quella dei loro colleghi di tutti gli altri sport più celebrati. Ragazzi e ragazze capaci di rinunce e sacrifici come gli altri, di trascorrere ore e ore ad allenarsi per anni pur di provare a emergere nello sport che amano. Capaci di farsi notare per le loro imprese agonistiche, ma molte volte anche per le loro storie davvero… controcorrente.
Prendiamo il caso di Ennio Falco (nella foto), casertano specializzato delle gare di skeet (in questa specialità del tiro a volo si tenta di colpire un piattello spostandosi su diverse pedane, ndr). Dopo la conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atlanta del 1996, il nostro atleta è diventato presto molto conosciuto nell’ambiente del tiro, a tal punto che qualche anno dopo, improvvisamente, gli è stata fatta un’offerta davvero inaspettata. Il sultano del Brunei, infatti, gli ha offerto 2 milioni di dollari per “nazionalizzarlo” e fargli ottenere la cittadinanza così da poter gareggiare per il suo Paese, prospettandogli, tra le altre cose, la possibilità di allenarsi in un impianto favoloso, costato oltre 100 milioni di dollari, con pedane di tiro realizzate in marmo di Carrara e spogliatoi con accessori in… oro!
Voi che avreste fatto? Falco, ovviamente, è stato tentato da un’offerta così allettante. E chi non lo sarebbe stato al suo posto!
Un altro veterano azzurro di questo sport è certamente Giovanni Pellielo. L’inizio della sua carriera sportiva risale al giorno del suo diciottesimo compleanno, quando la madre, che praticava questa disciplina, decise di portarlo per la prima volta su un campo di tiro. Da lì in poi l’atleta italiano ha vinto un po’ tutto quello che c’era da vincere. Johnny, come lo chiamano gli amici, è un tipo davvero speciale. Stimato e ben voluto da tutti, quest’atleta vercellese in passato aveva pensato anche di farsi sacerdote. Profondo studioso di teologia, Johnny ha infatti una grande fede, che non ha mai nascosto e che anzi ha sempre cercato di testimoniare in ogni angolo del mondo in cui ha gareggiato.
Come ha fatto ad esempio in occasione dei Giochi Olimpici di Pechino del 2008 quando, nonostante alcune repressioni effettuate nei confronti dei cristiani e di chi manifestava contro la politica abortistica del figlio unico (iniziativa considerata dal Governo cinese come un pericolo all’unità nazionale), non ebbe paura di dichiarare: «Bisogna avere la capacità di testimoniare la propria esperienza di fede. In fondo è come per San Paolo quando sbarcò a Malta… So che questo paragone non può reggere, tanto più che io non sarò mai santo, però sono consapevole che riuscire con le mie parole a portare un’esperienza di fede in un mondo come quello cinese sarebbe una grande conquista»
Nella sua specialità, il trap (detta anche "Fossa Olimpica", in cui i tiratori sparano alternandosi in cinque pedane diverse da una linea di tiro rettilinea, posta a quindici metri dalla fossa in cui si trovano le macchine lanciapiattelli, ndr), Pellielo ha preso parte a ben sei Olimpiadi, riuscendo a salire tre volte sul podio (bronzo a Sidney 2000, argento ad Atene 2004 e Pechino 2008). Il suo sogno è conquistare un giorno quell’oro a cinque cerchi sin qui sempre sfuggito. Nel frattempo il quarantatreenne Pellielo continua a gareggiare con l’entusiasmo di un ragazzino, e continua a vincere come ha fatto anche a Lima, dove si è laureato per la quarta volta campione del mondo (i precedenti successi iridati sono arrivati a Nicosia nel 1995, sempre a Lima nel 1997 e a Barcellona nel 1998). «Questo – ha affermato – è un messaggio molto importante per tutti i giovani: il nostro sport non ha età»
In Perù, in questi ultimi giorni, i nostri atleti hanno dato spettacolo, conquistando complessivamente ben diciassette medaglie tra gare senior, junior e prove a squadre. Le hanno vinte atleti già affermati come Falco, Pellielo o come Jessica Rossi, campionessa mondiale nel 2009 e oro olimpico lo scorso anno a Londra, che a soli ventuno anni gareggia ormai con la freddezza di una fuoriclasse. Le hanno vinte poi tanti altri nostri rappresentanti che continuano a inseguire i loro sogni sportivi, incuranti del pressoché totale disinteresse dei media che, sportivamente parlando, purtroppo continua a trattarli il più delle volte come “figli di un Dio minore”.