Gli attentati di Parigi e la scelta di Guido Rossa
Dopo i fatti di Parigi, l’atmosfera europea ricorda quella dell’Italia degli anni ’70, quando degli studenti di sociologia affascinati da cattivi maestri, avevano creato le Brigate Rosse per indurre con le loro azioni terroristiche la classe operaia ad aiutarli a prendere il potere.
Avevano esordito cercando di far esplodere un deposito di gas liquido nella valle padana e per un decennio avevano ucciso o ferito alle gambe agenti di polizia e carabinieri, ma anche inermi giudici, direttori di giornali, imprenditori e manager; avevano effettuato rapimenti, a Genova del giudice Sossi, a Venezia del generale Dozier, a Roma del primo ministro Aldo Moro, in questo caso sembra aiutati da servizi segreti di Paesi che volevano evitare che in Italia il partito comunista andasse al governo.
Essi bersagliavano chi di solito reprimeva le manifestazioni o era invidiato e criticato perché primeggiava, così riscuotevano qualche simpatia nelle classi operaie, che li chiamavano “compagni che sbagliano”, senza denunciarli: una situazione senza sbocco, quei giovani erano inafferrabili e se venivano arrestati o uccisi altri ne prendevano il posto. Per anni le persone più in vista avevano la scorta o la macchina blindata, e molti si portavano in tasca un laccio emostatico contro una eventuale emorragia, se gambizzati.
Il culmine si raggiungeva nel ‘78 con la spietata uccisione di Aldo Moro, avvenuta malgrado la accorata implorazione di Paolo VI, ma anche quell’evento non avrebbe cambiato nulla, se mesi dopo Guido Rossa, operaio e sindacalista genovese, non avesse obbedito all’imperativo morale di denunciare un lavoratore della sua azienda sorpreso a distribuire documenti delle Brigate Rosse.
Guido Rossa veniva vigliaccamente ucciso pochi giorni dopo mentre, inerme, al mattino presto si stava avviando con la sua utilitaria al turno di lavoro; quella uccisione era la fine delle Brigate Rosse, nessuno avrebbe più simpatizzato per quegli assassini, che ormai soli, in breve tempo venivano imprigionati. Dopo anni di prigione essi riuscivano a liberarsi dalla loro ubriacatura ideologica ed ora, dopo che hanno scontato molti anni di prigione, diventa evidente che chi se l'è cavata con pochi danni sono i loro cattivi maestri, che ne hanno tratto notorietà se non addirittura vitalizi.
Quella stagione sembra ora ripetersi con il terrorismo islamico e cattivi maestri che grazie a lauti finanziamenti di interi paesi possono offrire ai bambini, assieme al loro veleno, anche una istruzione, ed ai giovani disoccupati offrono anche una sistemazione economica; il mondo islamico che vive in occidente finora si dissocia blandamente, perché in qualche modo solidale con le frustrazioni dei suoi figli attratti da quelle sirene e spesso si astiene da denunciarli se ne viene in contatto.
È troppo facile auspicare che nel mondo islamico vicino a noi sorgano dei Guido Rossa, o che si unisca in decise azioni di denuncia, che solo esso può fare perché in contatto con chi è attratto da queste scelte? Quale è il nostro compito per far maturare la situazione in questa direzione?
Non certo identificando la comunità islamica con i crimini dell’Isis, sarà invece utile rendere gli islamici di buona volontà sempre più consapevoli dell’essere parte integrante della nostra realtà sociale europea, con quelle diversità che interpretiamo come difetti, ma anche con i loro talenti: da quello dell’essere disponibili a lavori da noi poco ambiti, al contribuire con i loro versamenti alle pensioni dei nostri molti anziani, ma soprattutto alla loro capacità di creare nuovo lavoro come imprenditori, dimostrata dal numero di aziende che in questi anni hanno saputo far nascere sul nostro territorio.