Gli artisti e i gilet jaune
Sono ormai 25 le volte che il movimento dei gilet jaune ha occupato le strade di Parigi e altre città della Francia, con qualche eco in altri Paesi, perfino fuori dell’Europa. Questo sabato ritorneranno ai soliti luoghi di appuntamento. Certo, il numero dei manifestanti è calato di molto, numericamente parlando: non sono più i 300 mila del novembre scorso, quando iniziarono le proteste, ma solo qualche migliaio, eppure bisogna riconoscere loro una indubbia perseveranza.
Forse per una tale insistenza, o forse solo perché i gilet jaune danno aria a ogni sorta di anarchia addormentata, ora gli “artisti” francesi (fra virgolette, per dire che non è certo un’operazione universale) vogliono solidarizzare con le manifestazioni in corso grazie a un “Appello degli artisti, creatori e creatrici”. In pratica, gente di ogni tipo di professione di cinema, teatro, canzone, musica, spettacolo in genere… Il manifesto ha come titolo Nous ne sommes pas dupes, cioè, “noi non siamo scemi e non ci lasciamo imbrogliare” (http://www.nousnesommespasdupes.fr) che finisce con la famosa frase di John Lennon: «Il sogno che sogni da solo è solo un sogno; il sogno che sogni insieme è realtà». I firmanti del manifesto, auto denominati Collectif Yellow Submarine, sono ormai oltre 1.500 e la raccolta di firme continua. Sorprende trovare tra le firme alcune personaggi non proprio legati al mondo dello spettacolo, come quella dell’archeologo Alain Chartrain, curatore in capo del Patrimonio nel ministero della Cultura e della Comunicazione, o quella della sociologa e ingegnere sociale Myriam Bouregba.
Il manifesto vuole richiamare l’attenzione sulle violenze esercitate dalla polizia durante le proteste, come hanno già denunciato Amnesty International, la Ligue des Droits de l’Homme, l’Onu e l’Unione europea. Perciò pone l’accento su quanto si è voluto «screditare i gilet jaune, descritti come anti-ecologisti, estremisti, razzisti, vandali». «Questo discorso non concorda con la realtà –aggiungono i membri del collettivo – anche se i media e i portavoce del governo vorrebbero farcelo creder». Un punto di vista, quello degli artisti, da non disdegnare, molto diverso però da chi tiene sott’occhio l’economia del Paese. Già alla fine del 2018 la Banca centrale della Francia aveva calcolato l’elevato costo delle proteste, con una riduzione dallo 0,4% allo 0,2% della previsione di crescita del Pil.
Quando erano iniziate le prime manifestazioni, lo scrittore Chistophe Guilluy, conosciuto per le sue teorie sul distanziamento tra la classe politica e il popolo, vide nei Gilets jaunes qualcosa di storicamente nuovo, perché a spingerli non c’era una forza politica particolare, ma un’inquietudine sociale. Così la descriveva: «Non è un fenomeno congiunturale, ma un prodotto della nostra epoca con radici nel processo di emarginazione sociale e culturale delle classi popolari iniziato negli anni ‘80». E ancora: «Per la forma di organizzarsi, spontanea, anarchica e verticale, questo movimento è l’esempio perfetto del processo di distacco delle classi popolari».
Nonostante l’analisi di Guilluy, che sottolinea il disinteresse di questo movimento per la politica, i gilet jaune – o perlomeno una parte di essi – saranno presenti alle prossime elezioni europee di fine maggio sotto la sigla Ric (Riunione d’iniziativa cittadina). Alla testa della lista c’è un’infermiera ausiliaria di 31 anni, Ingrid Levavasseur, nell’intenzione di fare dei cittadini «attori della nuova costruzione europea», perché «le caste dei finanziari e dei tecnocrati hanno dimenticato le cose principali: l’umano, la solidarietà, il pianeta». Altri esponenti dei gilet jaune simpatizzano per altre liste. Resisterà il movimento alla prova della politica?