Gli Arabesque di Matisse
Un invito, dapprima. Poi una immersione nei colori e nelle linee di un universo che non è più l’Europa intimista degli impressionisti e nemmeno quella disgregativa di un Picasso.
Henry Matisse fin da giovane è interessato al mondo dell’Est, dalla Russia alla Grecia per poi scendere a Sud in Algeria e Marocco, a “baciare” il Mediterraneo, Italia compresa.
Le grandi rassegne di arte islamica, sia al Louvre parigino come quella a Monaco del 1910, schiudono al suo occhio e alla sua sensibilità poetica la possibilità di rinnovare l’arte attraverso una assimilazione dell’Oriente, visto come un mondo di leggerezza e di fantasia, di vita nuova. Non si tratta solo, nelle sue opere, di adoperarsi per una preziosità decorativa che gli deriva dall’amore per le forme islamiche- maioliche, tessuti, arredi – che fluiscono in lavori sempre più liberi nelle linee e nel colore -, ma dell’entrata in un universo sentimentale che informa la sua anima di un contenuto nuovissimo, che è leggerezza e passione.
Perciò la rassegna romana alle Scuderie del Quirinale, con oltre cento opere dai musei internazionali più prestigiosi, è qualcosa di assolutamente unico e imperdibile. Di mostre su Matisse se ne fanno parecchie, oggi, eppure questa possiede una specificità che la rende straordinaria: è un viaggio nel “viaggio” intimo di Matisse alla scoperta di una bellezza che gli viene rivelata come fonte di una sorta di giovinezza eterna.
Nelle dieci sale delle Scuderie si susseguono opere monumentali (Gigli, Iris e Mimose del 1913), ritratti “primitivi” di suggestione “africana” (Tre sorelle, 1916-17); cromie brillanti e mediterranee (Fruttiera ed edera in fiore, 1941), esuberanza vitale evocatrice di decorazioni islamiche (Zohra sulla terrazza, 1912); paesaggi verdi e rosa di suggestioni marocchine (La Palma, 1912), esplosioni seducenti di colori (Odalisca blu, 1921), e poi i costumi per Le chant du Rossignol musicato da Stravinsky del 1920, fino agli studi e disegni di foglie e alberi, come l’Arbre del 1951.
Un percorso in cui l’arte di Matisse giunge all’essenza dell’arte stessa, ossia alla linea e al colore sempre più purificati e diventati bellezza assoluta, astrazione della materia.
Ma prima questa materia si è fatta carne e sangue come ne “La piccola mulatta” del 1912, azzurri e rosa molto affettuosi, altissima decorazione neobarocca nel celebre “Intérieur aux aubergines” del 1911, poesia elegiaca ne La Fenetre Bleue del 1913, eleganza botticelliana nel “Nu dans un fauteuil, plante verte”, rosa e verdi delicatissimi.
L’ispirazione profondamente lirica di Matisse fa del decorativismo non un riempitivo estetizzante, ma un modulo espressivo di un anelito umano e spirituale di trasparente pregnanza. Diversamente, non avrebbe potuto giungere alla bellissima, sinfonica poesia de Le Buisson (L’arbusto) del 1951, pura musica di linee spiritualizzate e carnali insieme, cioè di vita.
Matisse, arabesque. Roma, Scuderie del Quirinale. Fino al 21/6 (catalogo Skira)