Gli appuntamenti elettorali in Ecuador, Perù e Bolivia
Fine settimana elettorale nella regione andina del Sudamerica. In Ecuador e Perù gli elettori dovevano votare la o il futuro presidente, mentre in Bolivia era in gioco la scelta dei governatori di quattro dipartimenti.
In Ecuador, Guillermo Lasso, un banchiere di 65 anni di orientamento neoliberista, ha superato al secondo turno Andrés Arauz, rappresentante ed erede del “Socialismo del XXI secolo” inaugurato 14 anni fa dall’ex presidente Rafael Correa. Al primo turno, Lasso aveva ottenuto un magro 19% e appena una manciata di punti in più del candidato promosso soprattutto dai gruppi indigeni, Yaku Pérez. Non era facile rimontare più di 30 punti per ottenere almeno la metà dei voti, eppure ci è riuscito.
I tre menzionati, caso più unico che raro, si sono presentati alle elezioni avendo suscitato buone impressioni tra gli analisti. In vista del secondo turno, il discorso si è incentrato principalmente su “correismo” e “anticorreismo”. Suscita tuttora, infatti, reazioni opposte la linea dell’ex presidente Correa, figura ambivalente e controversa, segnata da uno stile autoritario e spesso disposto allo scontro, di cui si è temuta un’eccessiva influenza sulla politica di Arauz. Quest’ultimo, alla fine della campagna elettorale ha tra l’altro accentuato l’aspetto ideologico e partitico, mentre Lasso ha preferito posizioni meno strutturate che hanno forse indotto gli indecisi a scegliere la sua proposta per una crescita economica legata all’efficienza e alla lotta alla corruzione. L’iniziale pareggio tecnico pronosticato dai sondaggi si è infatti trasformato in una vittoria netta di Lasso.
Di certo, però, i risultati del primo turno fanno pensare a una debolezza del gruppo parlamentare del vincitore, che dovrà negoziare alleanze. Nel frattempo, il presidente avrà le sue grane. Il governo dell’ex delfino di Correa, l’uscente Lenin Moreno, consegna un Paese pervaso dal pessimismo, sconvolto da una pandemia affrontata con poca efficienza e ancora meno creatività, mentre la crisi economica attanaglia 4,9 milioni di lavoratori che guadagnano al di sotto della soglia del salario minimo. I disoccupati sono quasi mezzo milione. Negli ultimi anni è cresciuto notevolmente il debito pubblico, ed il calo del prezzo del petrolio, una delle maggiori risorse del Paese, ha ridotto le entrate statali. Non sarà facile per il nuovo presidente trovare una via d’uscita, che difficilmente emergerà dalle ricette classiche in cui mostra di aver fiducia.
La marcia del Perú per arrivare a un nuovo presidente si annuncia tortuosa. In questo Paese dove, a suo tempo, il solo comunismo registrava ben 70 partiti diversi (di cui uno tristemente noto: Sendero luminoso), la frammentazione politica è di casa. Ben 18 i candidati alla presidenza che si sono presentati domenica scorsa agli elettori. Bisognerà attendere ancora un po’ per avere conferma di chi sfiderà al secondo turno Pedro Castillo, che ha ottenuto il primo posto con appena il 16,1%. Cinque altri contendenti sono in lizza, avendo ottenuto tra l’8 e l’12% dei voti. Percentuali bassissime che indicano chiaramente come, ancora una volta, chiunque sarà presidente dovrà vedersela con un parlamento frammentato, dove piccoli partiti fondati ad uso e consumo dei loro leaders, spenderanno enormi dosi di energia per negoziare su tutto, spesso sottobanco.
Appena un mese fa, Castillo era un maestro noto per le sue lotte sindacali, ma che registrava uno scarso 2% nei sondaggi sulle di intenzioni di voto. Altri candidati hanno destato stupore per il livello di populismo e l’originalità di certe posizioni, confermando la profonda crisi che vive la politica peruviana.
Nei dipartimenti boliviani di La Paz, Tarija, Chuquisaca e Pando è stato invece necessario un secondo turno per eleggere la o il governatore, visto che nessuno dei candidati aveva ottenuto i voti sufficienti il mese scorso. Il conteggio si annuncia lento e in settimana saranno resi noti i risultati di una giornata elettorale caratterizzata da scarsa affluenza alle urne. Il presidente Arce, eletto a novembre scorso, spera da questi risultati regionali di ottenere un’ulteriore consenso alla sua gestione.