Gli anni di Ambrogio e Agostino
La mostra è bellissima. Passeggiando fra le sale del Museo diocesano e il chiostro di sant’Eustorgio, si dimentica di colpo la Milano indaffarata dell’esterno e si entra subito in un altro mondo. Si torna indietro, ma – ed è una sorpresa – forse ci si spinge anche avanti. Perché il 387, anno in cui Ambrogio battezza Aurelio Agostino, non è solo data epocale nel cammino personale dei due grandi personaggi, ma in un certo senso battesimo di un’alba ancora incerta che pone le basi di qualcosa che sta germogliando e si chiamerà Europa. Quando nel 381 Ambrogio incontra Agostino il percorso dei due è già segnato in qualche misura. Il primo, vescovo della maggior diocesi cristiana, è uomo concreto, d’azione, guida da una decina d’anni una società civile e religiosa in transizione fra la tarda romanità e le nuove forze immigrate, i popoli germanici. Il secondo, intellettuale raffinato e ansioso, arriva a Milano (Mediolanum) – già baricentro fra sud e nord d’Europa – con una carica formidabile di ricerca spirituale, ed il bagaglio della intera civiltà classica che tenta in lui di armonizzarsi sia con le esigenze personali come col nuovo mondo che Agostino genialmente intuisce sta nascendo. È dall’incontro fra questi due uomini che finisce per nascere – grazie in particolare all’Africano – l’idea di unaterza via fra romanità e germanicità, quella che si chiamerà in seguito civiltà europea. Ed il legante, il ponte, fra passato e futuro sarà l’essere cristiani, il messaggio evangelico. Per questo il punto nodale della rassegna è il battistero, le cui tracce stanno sotto il duomo milanese, perché da quel punto è nato l’uomo nuovo Agostino, colui che fornisce idee rifles- sioni e ardore al nuovo avvio della civiltà, grazie all’influenza carismatica di Ambrogio. Perché, è noto, il cristianesimo non è ancora fra il IV e il V secolo l’ideale dominante della Romanità, per quanto la sua influenza si stia estendendo a macchia d’olio. Linee parallele di culture, miti, culti diversificati costituiscono una ragnatela che intesse il costume sociale, dalle classi aristocratiche – un’aristocrazia fondiaria e militare – a quelle mercantili e agricole, fino agli ultimi gradi di una scala sociale che ancora non comprende l’uguaglianza di tutti. Se in più si considera il fenomeno costante delle migrazioni – le cosiddette invasioni barbariche – la differenziazione fra romanità orientale ed occidentale in atto, la non sempre facile pace all’interno del cristianesimo stesso a causa delle eresie ricorrenti, si comprende il dramma di un’epoca di reale transizione – sotto molti aspetti uguale alla nostra – in cui il futuro non appare facilmente delineabile. Certo, esiste una koinè figurativoculturale, un linguaggio mediatico comune, quello della tarda romanità dove il latino è lingua universale e gli stilemi dell’arte classica i veicoli mediatici più facilmente comunicabili. Anche se il livello non è sempre di fattura eccelsa, rispetto al passato. La rassegna ha il merito di offrire una vasta panoramica sotto tutti questi aspetti, così da calarci veramente dentro a quei secoli. Oreficerie, marmi, bronzi, vetri, mosaici e affreschi si dispiegano in un itinerario storico-geografico di straordinario interesse. Scopriamo così, accanto a pezzi noti come il Dittico eburneo del console Probo (con l’iscrizione sull’asta In nomine Christi vincas semper, vincerai sempre nel nome di Cristo), o il Dittico dei Lampadii con la celebre corsa delle bighe nello stadio (a conferma di un tipico costume popolare dell’epoca) – teste marmoree di imperatori, cristallizzate nell’astrazione; coppe dorate e incise in vetro come quella di Adamo ed Eva o di Eracle e Cerbero dalla Germania – miti pagani e storie bibliche giravano in contemporanea; utensili come candelabri, lucerne, ma anche mense d’altare marmoree come quella proveniente da Madaura, in Africa. E poi collane, anelli e le mille statue in marmo, porfido, calcare o gli affreschi dei culti di Iside e Mitra, insieme ai vetri cristiane con scene evangeliche o ritratti di apostoli e alle monete con gli imperatori dal profilo classico… Un mondo, insomma, di cui restano migliaia di frammenti che anziché confondere, creano l’atmosfera di un’epoca dai molti rivoli, bisognosi di unificazione. In questo universo sociale e culturale, vivono agiscono pensano e si tormentano Ambrogio ed Agostino, testimoni di sensibilità diversificate e di temperamenti umani differenti, ma artefici di una comune aspirazione a dare un senso alla loro contemporaneità. Oggi in cui le loro opere – e lo testimonia la splendida rassegna di codici miniati del Medioevo e Rinascimento – rischiano di essere oggetto di solo studio e riflessione, per quanto salutare, immaginarli e vederli nell’agire quotidiano del loro mondo – fra anfiteatri, templi, fori, culti esoterici e vita di comunità, passioni politiche e guerre – come la rassegna propone, porta a valorizzare ancor meglio lo sforzo eroico compiuto dai due per dare un’anima ad una civiltà che crollava e ad un’altra che si apriva, ma ancora indeterminata. Senza disperdere il patrimonio che la saggezza antica aveva faticosamente costruito, ma riuscendo a trasferirlo – universalizzandolo nella nuova societas christiana che stava nascendo. Per questo, il battesimo di Agostino datogli da Ambrogio non è solo un fatto biografico, ma forse la data di nascita di una nuova fase storica. Riconsiderarlo, porterebbe probabilmente una luce nuova sui secoli dell’Europa che è poi sorta, fino al messaggio del laico Croce e alla sua celebre affermazione: Non possiamo non dirci cristiani. NON SOLO UNA MOSTRA Non si ferma ai 430 oggetti, alcuni esposti per la prima volta, la rassegna milanese.Tutti i martedì, fino al 27/4 è in atto una serie di appuntamenti culturali insieme ad altre iniziative collaterali. Il 27/4 il card.Tonini e Marco Vitale presenteranno Europa e Africa dal tempo di Ambrogio alla contemporaneità: non muri ma ponti.