Gli amici di Marene Gli amici di Marene

La Bertola di Marene, un centro di circa 2700 abitanti nel cuneese, vista dal di fuori, appare una delle tante fabbriche che punteggiano le province del Nord. Qui si cromano e si ramano marmitte, componenti di auto e di moto, telai di carrozzelle per disabili. Qui ogni giorno si avvicendano in tre turni una trentina di operai, tra i quali senegalesi, rumeni, albanesi e cileni. Qui si fatica duro per far fronte alle consegne. Le preoccupazioni certo non mancano a Livio Bertola, che è succeduto alla conduzione dell’azienda di famiglia. Abbiamo cominciato con la Ferrero nell’ormai lontano 1946 – dice con una più che giustificata punta di orgoglio -, e ai tempi del boom; allora la Bertola di Marene impiegava oltre un centinaio di operai. Ora risente, come i suoi concorrenti, della fase di ristagno della produzione industriale. Con tre figli, più una quarta in affido, c’è, come si suol dire, di che stare in campana. Già in passato – dice Livio – abbiamo avuto delle gravi crisi economiche, l’ultima circa dieci anni fa. Ancora oggi ho ben presente l’angoscia e la paura che la gravità della situazione mi aveva procurato . Da dieci anni a questa parte, però, qualcosa è cambiato. Nella sua vita. Sarà perché sono invecchiato, ma forse anche perché – prosegue – sto provando ad allenarmi a mettere tutto nelle mani di Dio, vivo con maggiore serenità questi momenti. Conto sul sostegno forte di Teresina, mia moglie, e dei nostri due figli maggiori, Paolo e Caterina, che già da qualche anno hanno scelto di portare avanti insieme a noi quest’avventura imprenditoriale in maniera senz’altro più originale di quanto io fossi riuscito a fare da solo in precedenza. Anche per chi, come me, non è solito frequentare le fabbriche, non ci vuole molto a capire che qui alla Bertola si respira un’aria diversa, distesa. Pur nella concentrazione che richiede il lavoro, mi accorgo infatti che non si sfugge il compagno in difficoltà. E spesso a rimboccarsi le maniche è lo stesso figlio di Livio Bertola, Paolo, che, pur giovanissimo, inizia già a condividere col padre le responsabilità della gestione dell’azienda. Una gavetta che gli fa sperimentare in profondità come dietro alla più efficiente delle macchine ci sia sempre un uomo. Tempo fa, ad esempio, i Bertola erano venuti a conoscenza della situazione molto complessa di due extracomunitari. Uno di loro, in particolare, era molto preoccupato, ed anche un po’ depresso. C’era in quel periodo poco lavoro – prosegue Livio -, ma i problemi di quel giovane non ci lasciavano tranquilli. Abbiamo deciso di assumerlo approfittando di un piccolo aumento di lavoro. Lo abbiamo aiutato anche a trovare alloggio, e tutto è incominciato a girare per lui nel verso giusto. Si è inserito bene nell’azienda, e si è ripreso anche in salute. Anche per noi è giunta nel frattempo una grande commessa che ci ha consentito di assumere altro personale. Conoscendo più da vicino Livio Bertola, si comprende anche come non sia difficile stabilire in questo clima rapporti di amicizia sincera, anche con i dipendenti della ditta. Si cercano, e si trovano, spazi ed occasioni di incontro anche al di fuori del lavoro. C’è, ad esempio da festeggiare il ritorno dal Senegal di Bara Diop con la sua sposa, la dolce Astou, e successivamente la nascita dei piccoli Fallou e Mustafà. La famiglia Bertola apre le porte di casa, a tutti quanti affiancano la loro vita: colleghi di lavoro, vicini di casa, amici. Con un debole, semmai, per chi si sente più solo e più fragile. Quella coppia, ad esempio, di vicini di casa a cui è mancato tragicamente un figlio. Quel ragazzo appena emigrato dal Sud. Quella ragazza sempre triste. Nasce un gruppo quanto mai vario, composto da persone di ogni età, condizione sociale, colore, convinzione, che iniziano a chiamare Gruppo degli amici di Marene e dintorni, per comprendere tutti e non escludere nessuno. Sono decine, fra ragazzi, ragazze, giovani e famiglie che si ritrovano insieme per conoscersi e per far famiglia, come dicono. Tutti si sentono accolti, perché – prosegue Livio – tra noi cerchiamo di vivere l’amore disinteressato come ci chiede il vangelo, ma che anche ci viene proposto da quella che ormai conosciamo come regola d’oro, presente in diverse religioni e praticata da tanti uomini di buona volontà. Molti dei nostri amici sono infatti musulmani, e alcuni non praticano nessuna religione.Sta di fatto che i dintorni del gruppo di amici si sono allargati ben oltre i confini della provincia di Cuneo e del Piemonte, per arrivare in Senegal. In questo clima di scambio fraterno, abbiamo appreso infatti – prosegue Livio -, che tanti amici africani, alcuni dei quali lavorano alla Bertola, provenivano da una regione del Senegal, la Louga, e la sua capitale, Darou Mousty. Si tratta di una cittadina di circa 20 mila abitanti, molto importante per i senegalesi a dispetto delle sue dimensioni, molti dei quali sono musulmani seguaci di Cheigh Ahamadou Bamba, il fondatore della città, un santo leader nato nel secolo scorso, che ha vissuto e diffuso un islam decisamente orientato all’amore del prossimo. Abbiamo conosciuto Abdù, un suo nipote, che frequenta il nostro gruppo. Bara Diop, anche lui seguace di Bamba, trovandosi in Italia da più tempo, è un po’ il capo riconosciuto dei senegalesi emigrati. È stato lui – prosegue Livio – il primo ad aderire allo spirito ed al messaggio di dialogo interreligioso proposto dai Focolari, a cui lo abbiamo invitato, portandovi altri amici, immigrati senegalesi come lui. Dopo alcuni anni di assenza, era rientrato in Senegal. Scoperto in Italia questo modo di vivere, sono tornato per un periodo nel mio paese, dove – racconta Bara – ho conosciuto e sposato Astou. Lì ho parlato a tanti amici e parenti di questa mia esperienza, ed abbiamo deciso di fondare anche nella mia città un gruppo simile a quello di Marene. L’abbiamo chiamato soppanté (che nella nostra lingua vuol dire volersi bene). Abbiamo iniziato a mettere in comune le nostre gioie, a dividere le nostre sofferenze e le nostre necessità, facendo anche spazio ad una cassa comune, dove spontaneamente raccoglievamo le nostre offerte per comprare le medicine o altro per chi ne aveva bisogno. Tornando in Italia, Bara capisce che non può lasciar morire quella scintilla di speranza in un futuro migliore che ha fatto sperimentare ai suoi concittadini durante il suo soggiorno in Senegal. Con Fallou, Ndiaga e gli altri senegalesi, pensano di tassarsi, di mettere insieme una quota dei loro guadagni per fare un fondo comune da destinare alla loro gente. I loro orizzonti si sono allargati, ben oltre i confini del clan. Costituiscono un’associazione, l’Ajedi (Associazione dei giovani emigrati di Danuo Mousty), che attualmente conta 200 soci. Gli amici del gruppo si mettono al loro fianco, pronti a sostenerli in tutto e per tutto. Iniziano a studiare i progetti, che, anche se alla loro modesta portata, vorrebbero mirati ed efficaci. Si capisce meglio, a questo punto, il perché dell’ occhiello comparso su la Repubblica del 23 dicembre scorso. Ha fatto notizia questo modo di agire, che una ditta si proponesse di utilizzare diversamente il denaro destinato ai regali di rappresentanza. In occasione delle festività natalizie, i fornitori si sono visti recapitare una lettera della Bertola srl più o meno dal seguente tono: Per favore, non mandateci regali. Prendete i soldi che avreste speso a questo scopo e metteteli su questo conto per il Senegal. E ai clienti arrivava una telefonata da parte di Livio: Le dispiace se per quest’anno non le arriva il cesto? Le mando una foto con il luogo in Africa dove stiamo dando una mano. A quanto pare, la proposta è stata bene accolta, a tal punto che la cifra così ottenuta è andata aumentando di anno in anno. E se qualcuno volesse sapere dove sono andati a finire quei soldi, si vedrebbe recapitare una foto con una scuderia di carretti, trainati dagli asinelli, che guidati da esperti carrettieri e netturbini fanno in una cittadina africana la raccolta delle immondizie. Chi l’avrebbe mai pensato! A suggerire tale iniziativa – dice Livio – è stato il Cisv di Torino, una comunità di impegno nel volontariato che, oltre ad avere una grossa esperienza internazionale, operava già nel territorio. Hanno suggerito di far nascere una cooperativa per la raccolta dei rifiuti a Darou Mousty, che avrebbe creato lavoro senza rischi, e con mezzi da reperire sul posto. Si è provveduto all’acquisto dei carretti e degli animali, e all’addestramento di 23 giovani, ragazzi e ragazze. Finalmente, il 17 febbraio 2001, la cooperativa è stata inaugurata con una giornata di pulizia straordinaria della città, con tutti i mezzi possibili. Ed ora che l’attività della nettezza urbana è ben avviata, la priorità va all’altro progetto, il sostegno per la Cassa etica di risparmio e di prestito per microcrediti agevolati a giovani e donne che vogliono intraprendere un’attività produttiva. Molti senegalesi, che qui in Italia hanno imparato un mestiere, tornerebbero volentieri in patria se fossero aiutati a mettere a frutto le competenze acquisite. Ed a loro – conclude Livio – intelligenza e capacità non mancano È quel patrimonio di solidarietà che, inserito tra le voci di spesa di un bilancio d’azienda, produce a sua volta un capitale solidale.

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