Gli amici del bar Margherita
A metà strada tra I vitelloni e Amici miei, l’ultimo film di Pupi Avati ricostruisce un percorso di ricordi adolescenziali dove, tra nostalgia e malinconia, il bar Margherita al centro degli eventi assume i caratteri di un luogo dell’anima, il baricentro di un universo a sé stante, immune e alieno ai rivolgimenti politici e sociali di quegli anni. Ci troviamo, infatti, nel 1954, lo stesso anno in cui Bologna veniva immortalata sotto una ben differente prospettiva da Wu Ming nell’omonimo romanzo; ma, come dicevamo, la storia, o meglio, le storie raccontate da Avati avrebbero potuto svolgesi in qualunque anno e in qualsiasi epoca. Perché i ricordi, o presunti tali, che Pupi Avati mette al centro della narrazione hanno più il sapore del mito che della storia, e non restituiscono tanto l’essenza di un’epoca, quanto la nostalgia del tempo che è passato e che non tornerà. In questo senso i fenomeni del bar Margherita, ovvero la strana fauna che popola il locale, personaggi un po’ ridicoli e un po’ patetici, tendenzialmente perdenti, alcuni mentalmente disturbati e tutti drammaticamente superficiali, rappresentano una sorta di divinità di provincia, capricciose e irresponsabili, al di fuori dello spazio del tempo. E nel creare il suo personale Olimpo, Avati non va troppo per il sottile e traccia ritratti volutamente bidimensionali e racconta aneddoti tutto sommato banali, aiutato da un cast in cui tutti giocano il ruolo, più o meno efficace, dei caratteristi. Se il primo tempo funziona grazie alla verve del racconto, la seconda parte del film si adagia un po’ pigramente su sé stessa, priva di spunti e di idee. Siamo lontani dalla lezione felliniana, questo è certo, ma nonostante gli evidenti difetti e limiti del film (anche tecnici, ma questo è una lacuna ricorrente nel cinema del regista emiliano), c’è da segnalare un piccolo salto in avanti da parte di Pupi Avati, che ultimamente aveva tentato operazioni forse troppo ambiziose o lontane dalla sua sensibilità, con esiti molto più deludenti e negativi. L’essenziale è accontentarsi. Regia di Pupi Avati; con Diego Abatantuono, Fabio De Luigi, Gianni Cavina, Claudio Botosso, Gianni Ippoliti, Katia Ricciarelli, Laura Chiatti, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè, Luisa Ranieri, Pierpaolo Zizzi.