Gli altri “occhi” di Cecchinel
Esiste ancora la poesia? Quella capace di esprimere, trasfigurandoli, sentimenti, ricordi, desideri: le tappe di un percorso esistenziale nella semplicità di un linguaggio che sa essere universale. Luciano Cecchinel, ad esempio, usa un idioma “diverso”, senza badare se sia più o meno nobilitato da una tradizione letteraria: ma la sua lingua contiene, nella musicalità del verso “spezzato”, effettivamente un tono aperto. Perché sembra guidato da un “occhio diverso” nell’individuare ciò che è dentro e fuori di lui, vicino o lontano nel ricordo e nella riflessione. Cecchinel è uomo schivo, introverso, visitato dal dolore: usa la lingua veneta della zona bellunese, idioma irsuto ma dolce, dove ogni parola ha una ricchezza semantica unica, densa di sentimenti di una civiltà antica eppure intatta nell’intimità più profonda del poeta. Al tràgol jért – L’erta strada da strascino, intitola una raccolta di “poesie venete” 1972-1999, con una ricca postfazione di Andrea Zanzotto. Cecchinel è poeta dallo stile “singhiozzante”: il “dialetto” con le sue parole tronche, le onomatopee sorgive, i verbi evocativi di immagini luminose o tristi, è come un torrente di montagna che si fa strada fra i massi. Una vita non facile, se si vuole: un esprimersi che potrebbe sembrare attorcigliato, quasi una musica dallo “sforzando” continuo. Ma con unacostruzione periodale e sintattica formidabile: c’è una sapienza classica, un bagaglio culturale alle spalle di poesia moderna e contemporanea che non appare: perché Cecchinel lo depura, sicché noi avvertiamo un mondo sentimentale incredibilmente ricco, e assieme carico di verità spontanea, a lungo maturata: com’è della poesia autentica. Ci sono incanti notturni: “Intanto che filavano i grilli/ dal ciglio lungo e tenero del cielo/ la coltre quieta di stelle/ io avevo pensato per lampi d’ombre ”, subito dissolti dalla violenza dell’emozione. Improvvise sospensioni sospensioni e paure, che la natura e le cose simboleggiano: “Di là dalla valle, di là dal rilievo/degli ultimi raggi del sole/ in un posto a bacìo fondo e solitario/ il gridare di una falce/ batte il segnale del tempo andato/E poi nulla ”. Al dramma si intersecano dolcezze inaspettate, come la Ninna nanna del vento (“Sta quieto tu, bel bambino/ se taci un attimo puoi sentire: la ninna nanna del vento ”) e poi ancora nebbie del cuore e del paese, accenti straziati per una civiltà scomparsa (“Agonia di primavera: Io son l’ultimo vecchio di questo paese ”). Cecchinel vive il passaggio epocale, la fine di una civiltà millenaria come fine di una parte di sé stesso, che si ostina a vivere dentro l’anima: “ Perché noi eravamo delle montagne/ perché voialtre eravate nostre, montagne/ perché come il vostro il nostro dire: era solo di greppi, fuscelli, strame e schegge ”. Ma non si arrende, la battaglia dolorosa a volte della vita lo porta a sbloccare la morsa del dramma: “Adesso che ho sbloccato il catenaccio duro/ dello stabbio stracolmo e cieco faccio da me stesso di me un grande fuoco:/ di sudore, di lacrime e sangue ma mi terrà l’aria leggera la mia ultima traccia rilucerà di tra le stelle:/ come un bambino lontano/ bisbiglierà nel vento per altri occhi e altri orecchi”. Dove, volutamente forse, questi “altri” occhi ed orecchi son persone, speranze, dimensioni dell’esistere. Com’è di una poesia che trae vita dalla vita stessa – remota o presente che sia – e per ciò stesso si leva a canto personale, com’è la lingua di Cecchinel, ma in cui ognuno si può ritrovare. LUCIANO CECCHINEL – Nato a Revine-Lago (Tv) dove vive, 55 anni, insegnante di lettere. Dopo un’esperienza di sindaco del proprio paese, matura l’interesse per la cultura popolare, partecipando alla pubblicazione delle Fiabe popolari venete raccolte nell’alto trevigiano. Poeta volutamente nascosto, ha pubblicato nell’88 con l’editrice Isco di L. Perosin Al tràgol jért, poi Senc (1990) e Testamenti (1997). I suoi testi poetici hanno ottenuto importanti riconoscimenti, su riviste (“Pagine”,”In forma di parole”), in un’antologia televisiva a cura di Franco Brevini e Gianna Paltenghi (“L’immagine e la maschera, 1991) e nell’antologia di poesia neodialettale Via Terra a cura di A. Serrao (1992).