Gli abbracci spezzati
Una storia di intrecci amorosi tra un regista e la sua amata: l'ultimo film del regista spagnolo Pedro Almodòvar.
Non sembra una delle opere migliori del regista spagnolo. Il mélo dura oltre due ore e i momenti di stanca non mancano, perché la narrazione è lenta e i dialoghi poco scattanti. La storia di intrecci amorosi tra un regista e la sua amata – una bravissima Penélope Cruz – sullo sfondo di un altro amante geloso fino all’ossessione ricalcano moduli già visti nel regista e tipici del genere melodrammatico, cui non mancano mai la morte e il sangue. Almodòvar, parlando appunto del regista Mateo che diventa cieco e si presenta come sceneggiatore di fama con il nuovo nome di Harry, vuole forse descrivere la schizofrenia che si impossessa di un uomo che non accetta il dolore e il fallimento, e nello stesso tempo decide per una nuova vita. Su di essa cala però il cupo destino inesorabile, forza cieca che muove i fili della vita umana ma che, in questo caso, almeno arriva a far decidere a Matteo di rinunciare al personaggio che si è cucito addosso – Harry appunto – per ritrovare sé stesso, accettando tutto il doloroso passato. Ognuno dei tanti personaggi contraddittori che attraversano il film del resto deve fare i conti col proprio passato per arrivare ad un frammento di serenità. Così, il mélo si chiude con un certo senso di pace dopo tanto fluttuare emotivo, che tuttavia il regista non riesce, come altre volte, a condensare in rapidi tratti evitando l’eccesso sentimentale, che qui resta sempre in superficie. Almodòvar ha forse perso una occasione di scavo nei personaggi, lasciandosi imprigionare da un intreccio che abbiamo già visto altre volte al cinema e nel suo cinema.