Giuseppe Lodigiani: ciò che credo
Ci sono uomini la cui vita, pur ricca di eventi significativi, nasconde un segreto che solo dopo la morte si rivela chiaramente. Così è avvenuto per Giuseppe Lodigiani, ingegnere milanese e dirigente della Lodigiani S.p.A. Laureato al Politecnico di Milano e di Torino, entra a lavorare nell’azienda di famiglia, fondata dal padre Vincenzo nel 1906, portandovi il personale contributo di competenza e professionalità. Grazie al suo impegno, l’azienda si attesta tra le più importanti in Italia nel settore delle centrali elettriche e molti degli impianti idroelettrici costruiti negli anni Cinquanta sulle Alpi portano la firma Lodigiani. Proprio in quegli anni comincia la grande esperienza dei costruttori italiani nel mondo e Lodigiani è in prima linea in questa avventura, portando a termine opere che testimoniano l’intelligenza e le capacità delle nostre imprese. Il più grande lago artificiale nel mondo, nello Zimbabwe, con la diga di Kariba, è la prima opera che Giuseppe Lodigiani realizza all’estero e che lo porterà di lì a poco in Egitto, Brasile, Cina e Stati Uniti. Intanto la sua azienda si consorzia con la Impresit e la Gisola, col nome di Impregilo S.p.A. e Lodigiani è chiamato a presiedere tale consorzio. Nel 1960 viene nominato cavaliere del lavoro e insignito più tardi del titolo di Officer of the British Empire. Nel 1983 lascia la presidenza della Lodigiani per riprenderla solo dal ’92 al ’97, turbinosi anni di tangentopoli. Nonostante il grande impegno lavorativo, la vita familiare e il rapporto profondissimo con la moglie e i figli, Giuseppe Lodigiani non abbandona mai il suo interesse per la musica e la letteratura, fondando e sostenendo istituzioni quali la Filarmonica della Scala, la Polifonica Ambrosiana, l’Orchestra Verdi. Nello stesso tempo stringe rapporti di amicizia con Marcello Candia, con don Zeno di Nomadelfia e i salesiani di Arese, sostenendo iniziative sociali e missionarie. Ma c’è qualcosa sotteso a tutto quando va realizzando: una ricerca interiore insistente che lo apre alle grandi domande sulla vita e lo porta ad un incontro personale con Dio. Di questa ricerca egli ha voluto lasciare una traccia in uno scritto composto negli ultimi anni ed ora diventato un libro: Ciò che credo (Iperborea), che testimonia come un uomo come tanti altri – come amava definirsi – privo di studi di teologia, ma acceso da una grande sete di verità, possa giungere a cogliere, in un cammino originale, la profondità del messaggio cristiano. Una sorta di confessione dove egli si pone gli interrogativi sul perché del male nella storia, della sofferenza e della morte, della povertà e ricchezza, ma anche ci svela le conquiste luminose segnate dall’amore e dalla speranza. Una confessione coerente e onesta che non trascura di evidenziare i propri limiti: Chi crede ha fede in qualcosa, o in qualcuno. E una vera fede impegna ad una prassi, ad una vita retta e governata da quella fede: possiedo veramente questo tipo impegnativo di fede?… Io credo in qualcosa e in Qualcuno, ma devo subito ammettere che la mia fede non è di quelle che muovono le montagne, le montagne costituire dal proprio egoismo, dalla propria mediocrità, dal proprio benessere; e che non nasconde lo sgomento di fronte alla percezione netta del male in un mondo creato per amore: Cristo ci ha assicurato che il Dio in cui dobbiamo credere è un Padre amoroso; che egli ci ha creato perché ci ama, e che guarda alle nostre colpe con infinita misericordia… Ma allora diventa ancor più sconvolgente che il male abbia tanto spazio nella vita dell’universo. Inizia così la confessionericerca di Giuseppe Lodigiani che, guardando la Storia, ne ha intravisto i drammi, le discese negli inferi delle guerre, le speranze vanifica- te dalle nuove e potenti forme di oppressione: Le ideologie sono morte, si dice con gioia giustificata, pensando a tutto il male che hanno fatto; ma in realtà il mondo occidentale è governato da un’ideologia più forte ancora, perché più seducente, di quelle del passato. Ed è quella del potere economico, dell’avere preferibile, perché più evidente, più concreto, più misurabile dell’essere. Tutto ciò viene presentato, per renderlo più nobile, come libertà. Quello che Lodigiani va ricercando è la risposta di Dio a questo mondo sconvolto. La cerca nei testi sacri, nelle pagine degli scrittori amati, primo fra tutti il Manzoni, per cogliere con stupore la prima forte intuizione: Carità – amore – compassione… ciò che le accomuna è un senso di solidarietà tra tutti gli esseri viventi e pensanti che li fa capaci di rendersi conto che la sofferenza tua è anche mia e che questa condivisione è già un modo di consolazione e di conforto, e comporta una maggiore speranza che, soffrendo assieme, sia meno difficile, meno aleatorio, contrapporsi alle sfide della vita, che continuamente siamo costretti a fronteggiare. Ma da dove ci giunge questo dono del soffrire insieme? La vita di Gesù, il suo messaggio di fraternità e di giustizia, la sua morte straziante nell’abbandono diventano risposta, capacità di discernimento nei momenti belli e dolorosi: Molto ti sarà perdonato perché hai molto amato. Questa frase basterebbe a rivelarci la novità del messaggio cristiano, e davvero anche noi possiamo dire con gratitudine a Cristo: Da chi andremmo? Tu solo hai parole di vita eterna. Ma se quella dell’amore è la grande strada che dobbiamo presto o tardi imboccare se vogliamo salvarci (la versione laica di questa parola, credo proprio sia dare un senso alla propria vita, e, intesa così, la salvezza è un obiettivo che anche i laici, i non credenti debbono porsi), è purtroppo anche vero che la condizione dell’uomo è tale che è fortissimo per lui il rischio di perdersi in un meandro di sentieri ingannevoli, al seguito di bussole impazzite, che lo fuorviano dalla direzione giusta. La grande prova, sua e della famiglia, che Giuseppe Lodigiani deve affrontare con tangentopoli, è vissuta nel rapporto con Cristo: Non possiamo essere (…) colpiti da un iniquo comportamento del potere, tanto più da quello giudiziario, senza sentire profondamente la sofferenza di Chi, essendo la personificazione stessa dell’innocente, è stato giudicato colpevole da tutti i poteri, umiliato e schernito dai loro scherani, abbandonato dai suoi, ed infine crocifisso… Non posso dire che sia rimasto inalterato il mio rapporto verso gli altri… Ciò malgrado, continuo a sperare, e voglio credere che alla fine la bontà, la semplice, cara, mite, forte bontà finirà per averla vinta. La lettura del libro di Lodigiani mi ha confermato un pensiero: La vita di ogni uomo è per tutti, nel senso che tutto quanto Giuseppe Lodigiani, con sincerità e trasparenza, ha scritto, è un dono per tutti noi.