Giulio Romano a Mantova
Vivesse oggi sarebbe un grande regista di fiction storiche, tipo “Il trono di spade”. Ma di talento, di fantasia specializzata negli “effetti speciali”. Con un bagaglio culturale e artistico non indifferente.
Stiamo parlando di Giulio Pippi, detto “Giulio Romano” dalla sua città natale (Roma) di cui Mantova ospita non una, ma due rassegne, una al Palazzo Ducale e l’altra a Palazzo Te, da lui costruito e decorato.
Giulio è uno sceneggiatore fantastico, un decoratore nato per ambienti spettacolari. Ha imparato da Raffaello, è stato nella sua équipe di giovani talenti. Forse è lui l’uomo su cui il Sanzio poggia la mano sulla spalla nel celebre Doppio Ritratto del Louvre. Certo che Giulio nella bottega raffaellesca ha un ruolo di primo piano: a lui il Genio affida di tradurre in affreschi i suoi disegni, sia nella Villa Farnesina che nelle Stanze vaticane. Così Giulio diventa uno specialista nella “pittura di storia”. Che sia pagana o cristiana la differenza non è poi tanta. Ha la mano felice, il senso degli spazi ampi, dei sentimenti espliciti e dei colori che passano dal chiaro al bronzeo con estrema facilità. Così la Madonna col bambino nella chiesa romana di s. Maria dell’Anima, seduta in trono al centro di un corridoio, non è poi così lontana –come stile –dai Due Amanti di san Pietroburgo. Vitalità, fantasia, libertà di pensiero in uno stile originale, ricco di citazioni classiche e contemporanee, creativo di ambienti sonori, squillanti movimento.
Roma perciò, dopo il Sacco del 1527 e l’ondata moralistica, gli sta stretta. Emigra dai Gonzaga, diventa il loro factotum artistico. Disegni, dipinti, architetture, manifatture: Giulio fa di tutto e lascia il segno. La sua, dicono i contemporanei, è una “nuova e stravagante maniera”, cioè uno stile unico per il suo tempo, fuori dell’ordinario. Chi ne volesse avere solo una idea, si soffermi a Palazzo Te su La Caduta dei giganti: un affresco che ci rovina addosso dalla volta e dalle pareti, una catastrofe universale davanti alla collera divina. È teatro già barocco: suscita orrore e stupore. È un artificio, uno spettacolo che scuote. Lascia sbalorditi. Ma poi passa e si va ad un altro spettacolo, come un’altra puntata della fiction mitologica. Perfetto meccanismo scenico e pittorico. Rimane un alto esempio decorativo, di un estetismo fascinoso. Ma poco profondo. È il pregio e forse il limite di Giulio.
La rassegna a Palazzo Ducale ha il pregio di esporre per la prima volta i 72 disegni provenienti dal Louvre, oltre ad altri da Londra e Vienna, divisi in tre sezioni: la “fucina” delle idee del Maestro è la parte più bella della rassegna. I soggetti sono vari e Giulio punta alla grazia e alla forza del segno per evocare la bellezza pura. Si va così dalla dolce Madonna col bambino alla stupenda Caduta di Icaro dal cielo, dalla Presentazione di Maria al tempio alla Contesa tra Apollo e Pan; dalla Giovane donna addormentata alla rara Crocifissione, col Cristo in ginocchio, in attesa di essere sdraiato sulla croce. Fino ai canestri, alle brocche, ai trionfi romani, alle architetture. Una meraviglia, un segno preciso, una sicurezza disegnativa ammirata e imitata dai contemporanei.
A Palazzo Te si cambia registro, perché Giulio indaga su “arte e desiderio”. Nel confronto con la sensualità dell’arte classica, si esprime una libera ed edonistica visione della vita, molto ricercata dai Gonzaga. Giulio presenta ad esempio un tenero disegno a sanguigna di Venere e Adone insieme alla esplicita tavola dei Due Amanti. Raffaello Parmigianino, Perin del Vaga, Marcantonio Raimondi offrono immagini sensuali anche sulla scorta dei sonetti di Pietro Aretino. Fino alla Danae del Correggio, esempio di un eros felice e padano, con le luci nebbiose. È un altro rinascimento, come quello del ciclo degli affreschi, anch’esso a suo modo spettacolo. In fondo, questi mondi non sono così lontani dal nostro.
Giulio Romano a Mantova. Fino al 6. 12 (cataloghi Skira ed Electa).