Giulio Regeni e i diritti dei lavoratori in Medio Oriente
Non si fermano le indagini sul terribile omicidio di Giulio Regeni in Egitto. Lo sdegno mondiale suscitato dalla vicenda può mettere in evidenza l’oggetto degli studi del giovane ricercatore, attento a dare voce ai diritti dei lavoratori in Paesi dove spesso si ignora la presenza di organizzazioni sindacali, storicamente collegate a livello internazionale.
In continuità con la passione per la giustizia sociale che ha mosso Giulio, cerchiamo di dare voce a una denuncia che arriva dall’area mediorientale con riferimento ai Mondiali di calcio del 2022 in programma nell'emirato arabo del Qatar che, su 2,4 milioni di residenti, registra l’80 per cento di stranieri: un milione e 800 mila persone, per la maggior parte lavoratori asiatici (indiani, nepalesi e pakistani). Il piccolo e ricchissimo emirato, indipendente dal 1971, è noto, tra l’altro, per essere la sede della rete televisiva satellitare Al Jazeera.
Abbiamo parlato del rapporto 2015 dedicato dall’International trade union confederation (Ituc) alle durissime condizioni dei lavoratori migranti in Qatar con Antonio Ferigo, per lungo tempo responsabile dell’ufficio internazionale della Fim Cisl e ora attivo nel gruppo di riflessione "Sindacalmente", fonte di approfondimento sul mondo del lavoro.
Come si è arrivati ad assegnare il Mondiale al Qatar?
«L'assegnazione rappresenta, di per sé, un’anomalia. La temperatura di giorno si aggira sui 40 gradi, la notte poco meno. Il Paese è un deserto che galleggia su un mare di petrolio. Gli emiri al potere amano molto il calcio, acquistano anche squadre all'estero, ma dire che il Qatar ha un vivo interesse per il football è poco meno di una barzelletta. Eppure la Fifa, la Federazione internazionale di football, ha assegnato a questo emirato di petrodollari il Mondiale del 2022. Ci vuole un gran lavoro per attrezzare le infrastrutture entro quella data: stadi, hotel, autostrade, aeroporto, metro, una nuova città per turisti non lontano dalla capitale. Il governo si è impegnato a completare i lavori principali addirittura entro la prima metà del 2017».
Come si è mosso il sindacato?
«Il sindacato internazionale (Ituc) ha avuto nel 2013 un incontro con la Fifa chiedendo il rispetto dei diritti previsti dall'Organizzazione internazionale del lavoro».
Con quali risultati?
«Praticamente non è cambiato nulla, anzi. La nuova legge sul lavoro prevista per il 2018 sarà, a parere di osservatori esterni, peggiore dell'attuale. La Ituf, quindi, ha chiesto che venisse ritirata l'assegnazione al Qatar del Mondiale. Diversi sindacati hanno fatto petizioni, raccolto firme, ma non si può certo dire che il sindacalismo, cominciando da quello europeo, abbia fatto sentire la sua voce sia nei confronti degli emiri che delle multinazionali che hanno contratti in Qatar. Dell'assurdità di far giocare al football nel deserto (ma gli stadi saranno dotati di aria condizionata), i giornali hanno dato notizia. Hanno detto invece poco sugli interessi in gioco, se non che “le nostre imprese sono molto interessate". Nulla sulle condizioni dei lavoratori migranti».
Quanto denaro necessiterà per portare a termine i lavori?
«Il dato ufficiale è quello annunciato nel 2011, quando si lanciò l'asta per l'assegnazione del campionato. Il governo del Qatar stimò i costi intorno a 220 miliardi di dollari. Cifra destinata a crescere almeno del 15-18 per cento in vista del 2018. Per i nuovi otto stadi ad aria condizionata si prevede un costo di 16 miliardi di dollari, 34 miliardi per nuove autostrade e per la metro cittadino; otto miliardi per un porto marittimo; 17 miliardi per un aeroporto e così via. Ma i progetti sono faraonici».
Si può fare un esempio di questi progetti?
«Certo, ad esempio il Lusail City development. Lusail è una zona sulla costa a nord della capitale Doha, dove si vuole costruire interamente una nuova città che dovrebbe ospitare 200 mila residenti, 170 mila lavoratori e 80 mila visitatori. Lo stadio sarà il polo attorno al quale verrà costruita la città, con annessa rete ferroviaria, nonché locali d'intrattenimento, ponti, ecc., per un costo preventivato di 45 miliardi di dollari».
(La seconda parte dell'intervista sarà pubblicata venerdì 1 aprile)