Giulio Cesare ieri e oggi
Scrive nelle note di regia della sua messinscena del Giulio Cesare di William Shakespeare, il regista Daniele Salvo: «In un buio assoluto, nelle strade di una Roma rischiarata solo da fiaccole e bracieri, appaiono i personaggi del Giulio Cesare, figli della Storia e del loro inevitabile destino, creature del passato, ossessioni che visitano brevemente il nostro tempo. Gli attori interpretano le loro parti identificandosi in prima persona con i personaggi, confrontandosi con loro in modo ravvicinato, intimo, come fossero persone reali, senza “stili” o cliché teatrali precostituiti. Così i personaggi prendono vita lentamente dalla memoria del poeta».
Con l’ausilio di maschere di lattice che riproducono perfettamente le fattezze umane, 28 attori rivestono i 45 diversi ruoli del Giulio Cesare, conducendo uno studio approfondito sull’opera shakespeariana. «Si tratta di un “sogno teatrale” fatto di rigore, necessità, serietà e determinazione – continua Salvo –. Si cerca un linguaggio immediato, che indaghi sulle motivazioni profonde di composizione di un verso, di una battuta, si cerca la “verità” degli stati emotivi, il rapporto di necessità fra l’attore e ciò che viene detto. La poesia e il Teatro hanno un linguaggio sintetico e come tale vengono da noi affrontati: non è possibile mentire o “far finta”, applicare formule o stili precostituiti.
Analizzando questa grande opera di William Shakespeare e il percorso di questi piccoli uomini dal destino già determinato, ritrovando le tracce delle loro vite reali nelle opere di Plutarco (da cui Shakespeare attinse a piene mani), abbiamo preso coscienza di quanto la Storia si ripeta incessantemente, di quanto la società controlli lo spirito umano, di quanto interferisca pesantemente nei meccanismi creativi ed educativi, di quanto il consenso e il dissenso siano fenomeni pilotati, di quanto la politica entri spesso in conflitto con la nostra vita quotidiana, di quanto la nostra Libertà sia qualcosa di illusorio ed effimero. Per questo vogliamo parlare con le parole di William Shakespeare, grande poeta dallo sguardo rivolto al futuro. Ci parla di un potere cieco, assoluto, del culto della personalità, della manipolazione delle masse attraverso l’uso del linguaggio e dell’immagine pubblica, di un popolo senza volto alla ricerca ostinata di un Leader, popolo senza dignità, dalla sfrenata voglia di gogna, popolo in pieno delirio narcisistico, che muta opinione in base alle promesse del più abile imbonitore.
I congiurati vogliono instaurare la Repubblica. Sono giovani, motivati, idealisti e vogliono sopprimere l’ingiustizia e l’abuso di potere. Ma si riveleranno vulnerabili, fragili, privi di qualsiasi abilità politica, troppo ingenui nella loro presunta umanità colma di ideali. Sono creature fragilissime, preda di paure e terrori notturni, vittime del destino. Giulio Cesare è creatura onnipotente, sovrannaturale, dai lineamenti trasformati, cancellati, multipli. Il potere sommo è in maschera e si identifica con essa: la maschera muta la personalità, sconvolge la mente, cela le vere intenzioni del Leader assoluto, l’uomo dei “pieni poteri”.
Nel nostro spettacolo lo stesso attore che interpreta Giulio Cesare, nella seconda parte, senza maschera, riveste il ruolo di Ottaviano, l’uomo nuovo, artefice d’inedite alleanze di governo: purtroppo tra il vecchio e il nuovo non c’è alcuna differenza. Non serve “attualizzare” la scrittura di Shakespeare, è attuale di per sé. I costumi fanno riferimento a un’epoca fascista contaminata da elementi di classicismo. Vorrei suggerire in questo modo l’idea di un fascismo latente, insopprimibile, nel popolo italiano e con esso l’idea di un “fascismo degli antifascisti”, che inevitabilmente riporterà il Paese a un nuovo sistema totalitario e ad un nuovo governo di stampo inequivocabilmente fascista (quello di Cesare Ottaviano).
Nel settembre 1962 Pier Paolo Pasolini definisce il fascismo «come normalità, come codificazione, allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società». Alla domanda: “Il fascismo sta tornando?” oggi si può forse rispondere con un’altra domanda: “E se in realtà non se ne fosse mai andato?». E ancora: «Il fascismo è, se non proprio — come per Gobetti — “l’autobiografia della nazione”, sicuramente l’autobiografia della borghesia italiana. Il fascismo è la plastica, violenta concretizzazione della grettezza borghese, del razzismo borghese, della sorda, vigliacca, depravata crudeltà borghese». Il disegno luci dell’allestimento riproduce una Roma tetra, attraversata da temporali furiosi, lampi di luce improvvisa, deboli fiaccole e bracieri, simbolo del profondo buio interiore in cui sono calati tutti i personaggi del Giulio Cesare.
“Giulio Cesare” di William Shakespeare
regia, traduzione e adattamento Daniele Salvo; musiche Marco Podda; scene Fabiana Di Marco; costumi Daniele Gelsi; disegno luci Umile Vainieri; disegno audio Franco Patimo, Daniele Patriarca; maschere Michele Guaschino e Makinarium di Leonardo Cruciano; combattimenti scenici Antonio Bertusi; canti dal vivo Melania Giglio
Con Massimo Nicolini, Francesco Biscione, Gianluigi Fogacci, Giacinto Palmarini, Graziano Piazza, Melania Giglio, Simone Bobini, Simone Ciampi, Alessandro Guerra, Flavia Mancinelli, Alberto Mariotti, Giuseppe Nitti, Andrea Romero, Carlo Valli
Produzione Politeama S.r.l.
A Roma, Globe Theatre Silvano Toti, fino al 6 ottobre.