Giulio Cesare eroe barocco

Una musica vaporosa, languida, ardita e colorata. Una voce morbida e carezzevole, slanciata e appassionata
Foto Marta Cantarelli per Filarmonica Romana

Chi mai se lo sarebbe aspettato che Giulio Cesare – lo czar per i russi –, condottiero, politico, dittatore e scrittore fosse l’eroe del melodramma del Settecento? E per di più interpretato dalla voce così tipica, contraltile dei celebri “castrati” (di cui avrà nostalgia Rossini)? Eppure l’eroe per il teatro musicale del secolo è non solo il generale vittorioso ma l’amante, capace di essere infelice, di sentirsi tradito negli affetti, di gemere per amore, oscillando così tra virilità e struggimento. Nel Settecento, secolo dell’equilibrio e dei sentimenti, di “furori” e di tenerezze, è possibile. La musica è come gli affreschi e le tele del Tiepolo: vaporosa, languida, ardita e colorata. Virtuosistica al grado massimo, tutto un luccichio di forme e di colori. Alta scenografia. Oggi piace moltissimo.

Si capisce allora perché l’Accademia Filarmonica Romana abbia voluto presentare al Teatro Argentina un concerto dedicato appunto a Giulio Cesare eroe barocco, affidato al complesso strumentate, assai raffinato, La Lira d’Orfeo, diretto dal controtenore Raffaele Pe.

Foto Marta Cantarelli per Filarmonica Romana
Foto Marta Cantarelli per Filarmonica Romana

Il quale ha scelto una serie di arie riguardanti Cesare, tratte da autori poco noti: Geminiano Giacomelli, Pollarolo, Francesco Bianchi, Piccinni e ovviamente Haendel e il suo capolavoro del 1724, Giulio Cesare in Egitto. Dove amore e passione, guerra e tradimento, tristezza ed entusiasmo si esprimono con arie stupende – variate nel “da capo” –, momenti orchestrali ricchi di colore e di audacia timbrica.

Raffaele Pe è personaggio duttile, come la sua voce che sa essere morbida e carezzevole, slanciata e appassionata, con una tecnica formidabile: certi “legati”, certi fiati senza respiro, certi colori che si smorzano e si accendono illuminando le parole, anche se ripetute e variate all’infinito, danno la misura di una preparazione amorosa e vasta. Vengono subito alla memoria le scenografie settecentesche di sete e velluti, di azzurri rosa e violetti.

Il canto fiorisce con l’armonia dell’orchestra (sedici strumentisti), la voce spazia sicura rendendo naturale il timbro androgino del contralto. Rimane una idea di bellezza non artificiale né artificiosa, bensì “neoclassica”, di una classicità non rarefatta, estremamente raffinata, quasi surreale. Eppure realmente “umana” per la verità della carica emotiva.

 

 

Mario Dal Bello

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