Giulio Albanese. Africa, nostro futuro

Hic sunt leones, il suo ultimo libro, non lascia indenni, perché presenta un’Africa a tanti di noi totalmente ignota, o almeno poco conosciuta. Quali sono, secondo lei, le grandi qualità umane che il continente offre al mondo? Gli antichi cartografi romani designavano le zone inesplorate dell’Africa con una dicitura assai poco invitante: Hic sunt leones. Oltre le città di Cartagine, Ippona, Leptis Magna, al di là dei biondi campi di grano, cominciava il deserto con le sue dune, estremo confine del mondo conosciuto dai popoli attorno al Mare nostrum. Ebbene, sono passati duemila anni, ma nell’enciclopedia dei saperi nostrani, l’idea di un’Africa misteriosa – ahimè – è dura a morire. Nella cultura occidentale vi è una sorta di pregiudizio, che l’Africa sia popolata da gente primitiva e pagana. Ecco nel libro cerco di andare al di là dei soliti stereotipi, raccontando un’Africa poliedrica e sorprendente con un potenziale, ahimè molte volte inespresso, di sapienza multisecolare. L’Africa è anche il luogo di passioni, ricchezza culturale e artistica, è un mare magnum di etnie fatte di volti con le loro storie da scoprire, anni luce distanti dall’immaginario occidentale. Stiamo parlando di un continente in cui i giovani rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione mentre le donne producono il 62 per cento del reddito. E proprio grazie ai giovani e alle donne sta maturando una società civile composta di comunità cristiane, associazioni ambientaliste, movimenti impegnati nella difesa dei diritti umani con l’intento dichiarato di promuovere l’affezione alla res publica, il bene comune. Insomma dobbiamo smetterla di guardare all’Africa come se fosse la metafora delle disgrazie umane. Ecco perché noi e loro, parafrasando il grande Léopold Sédar Senghor, dobbiamo incontrarci all’appuntamento del dare e del ricevere. Muore un continente, si sente dire. Grazie alla sua esperienza, crede che tale infausta profezia abbia una sua credibilità? No, l’Africa è viva più che mai anche se qualche benpensante la dava per spacciata già venti, trenta anni fa. Sta di fatto che nonostante le sciagure che hanno fortemente penalizzato la vita d’intere popolazioni delle Afriche – è meglio usare il plurale, essendo un continente grande tre volte l’Europa – la gente è riuscita ad ottimizzare il caos attraverso un’economia informale che ha sorpreso addirittura gli economisti delle grandi istituzioni finanziarie internazionali. Vi è poi una classe intellettuale che sta crescendo di spessore, in grado di disegnare nuovi scenari in un mondo villaggio globale. Diceva saggiamente uno dei personaggi generati dall’estro letterario dello scrittore senegalese Cheick Anta Diop a proposito dei rapporti tra Europa e Africa: Non abbiamo avuto lo stesso passato, voi e noi, ma avremo necessariamente lo stesso futuro. Ed è proprio in questo il cammino comune che insieme dobbiamo intraprendere…. Da appassionato d’Africa, cosa direbbe alle grandi istanze internazionali per contribuire a risollevare il continente nero? L’Africa è la cartina di tornasole delle contraddizioni del nostro povero mondo. È un continente sconfinato, ma il suo commercio rappresenta solo il 2 per cento della quota mondiale. I problemi sul tappeto sono numerosi: dalla questione del debito estero, alla mancanza d’infrastrutture, dal deficit d’informazione alle malefatte dei politici, dall’emarginazione delle economie, allo sfruttamento delle immense risorse minerarie da parte di poteri forti, più o meno occulti… In questo contesto l’Africa chiede l’affermazione del diritto di cittadinanza, nuove regole per il commercio ma soprattutto giustizia e non la solita beneficenza di noi ricchi Epuloni. Ritengo comunque che la vexata quaestio sia di ordine culturale e abbia un duplice significato: per noi e per loro. Si tratta di debellare certe malefiche convinzioni: che ad esempio l’Africa sia povera, mentre è impoverita; che l’Africa sia pre-logica quando invece è un crogiuolo di culture di cui noi occidentali ignoriamo l’esistenza. Lo sforzo per innescare il cambiamento deve essere condiviso: occidentali e africani, insieme, devono avere il coraggio d’inventare l’avvenire!.

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