Giravolte, Superlega e Cop26
Due notizie, in ambiti totalmente diversi, mi hanno colpito nel corso dell’ultima settimana. Calcio e cura dell’ambiente hanno poco a che fare l’uno con l’altro, almeno nell’immaginario collettivo, ma entrambi, negli ultimi giorni, sono stati teatro di fulminei cambiamenti che hanno colpito anche coloro che, da spettatori, sono impulsivi e non riflettono più di tanto quando devono fare una scelta. Nel calcio è arrivato come uno tsunami il progetto della Superlega, cioè un passaggio dalla sfera pubblica a quella privata del gioco più diffuso al mondo: 12 club, come si sa, avevano in mente di farsi un campionato tutto per loro, con qualche invitato di comodo, senza più il rischio di retrocedere e con il vantaggio enorme di drenare la massima parte della gustosa torta del football, soccer, pelota o calcio che dir si voglia, togliendo il minimo vitale ai piccoli club che già ora faticano a mettere assieme squadre decenti per i campionati nazionali. Tutto si è svolto in poche ore, o pochi giorni: di fronte alla dichiarazione pubblica di Real, United, Juve e soci, proprio alla vigilia di importanti appuntamenti di Uefa e Fifa, che governano il calcio europeo e mondiale, si sono scomodati persino Boris Johnson, Emmanuel Macron, Angela Merkel e Mario Draghi per condannare la proposta, facendo quadrato attorno alle istituzioni sportive. E i 12 eroi della Superlega si sono ritrovati improvvisamente a terra, alcuni hanno subito fatto marcia indietro, altri si sono arresi poco più tardi, non si sa se per la loro indipendenza o la loro dipendenza dai leader politici del proprio Paese.
Nella sempre più vasta fetta di popolazione che si occupa della cura dell’ambiente, invece, l’iniziativa web promossa da Joe Biden − un summit sul web con una quarantina di presidenti e primi ministri mondiali, con corredo di autorevoli testimonial in vista dell’assemblea internazionale prossima ventura, a novembre, chiamata Cop26, che si svolgerà a Glasgow, in Scozia – ha portato ad evidenziare un cambiamento radicale nelle posizioni di testa tra i favorevoli ad una società più verde. Era successo che, sotto l’amministrazione Trump – a proposito, dov’è finito? −, gli Stati Uniti avevano perso il ruolo di guida mondiale verso misure drastiche contro i cambiamenti climatici, cedendo lo scettro niente meno che alla Cina di Xi Jinping, che certo non aveva particolari meriti nel campo, ma che di fronte all’arretramento degli Stati Uniti, si era proposta come nuova paladina della cura dell’ambiente. Nel summit web, Biden ha ripreso il vessillo in mano, e Xi si è dovuto trincerare dietro dei “distinguo” imbarazzanti: la Cina non può interrompere il suo sviluppo economico, e quindi prima del 2060 sarà difficile che possa proporre misure veramente efficaci.
I sistemi mediatici sono tali, oggigiorno, che giravolte del genere vengono accolte come una manna dagli addetti ai lavori, che non debbono inventare chissacché per attirare l’attenzione: ci hanno già pensato gli altri, basta rilanciare e sguazzare dentro nel fango delle conflittualità vere o illusorie. La realtà è sempre un po’ diversa, piena di grigio e meno, molto meno, di bianco e di nero. Superlega? Vedrete che in breve tempo le innovazioni proposte dai 12 apostoli del pallone ipercapitalista verranno fatte proprie dalla Uefa e dalla Fifa, e la quota dei privati nel calcio aumenterà non di poco. Analogamente, nel campo della lotta ai cambiamenti climatici, le posizioni di Biden e XI si avvicineranno e forse si ribalteranno, in certi ambiti gli Usa non arretreranno (pensiamo solo alla rinuncia del riscaldamento o del condizionamento a palla cui sono abituati i suoi abitanti), mentre i cinesi si troveranno comunque a dover diventare più verdi (ridurre l’inquinamento delle loro città è una questione di vivibilità, di salute pubblica immediato).
Ma intanto ci siamo visti un po’ di comunicazione a colori forti, qualche scazzottata e un po’ di parole forti. Voilà le spectacle, monsieurs e mesdames!