Giovanni Paolo II: un di più d’amore
La sua santità. Anch’io posso darne testimonianza di persona. Spesso, dopo un’udienza con lui, m’è rimasta l’impressione che il cielo si aprisse. Mi sono trovata come direttamente collegata con Dio, in una densissima unione con lui, senza intermediari. È perché il papa è mediatore, ma quando ti ha congiunto con Dio, scompare. M’è parso di comprendere più profondamente qual è il carisma proprio del papa. Le chiavi per aprirci il cielo, non servono soltanto per cancellare i nostri peccati, ma anche per aprirci il Cielo aprendoci all’unione con Dio.
Non si spiega forse così quella gioia, quell’entusiasmo, quella attrattiva che il papa ha sempre esercitato sui giovani, sui milioni di uomini e donne di ogni razza, cultura, religione e credo che ha incontrato su tutto il pianeta? E quei capovolgimenti di storia da lui operati in questi 27 anni? Questo papa comunicava Dio e lui «fa nuove tutte le cose››. Una “presenza” che si è fatta sempre più forte, più grave si è fatto il carico di sofferenza sino all’ultima ora.
Ma in questo momento non posso non esprimere la mia gratitudine più profonda per molte altre porte aperte da quelle chiavi: il papa ha sempre spalancato le porte alle novità dello Spirito che ha riconosciuto anche nel nostro movimento, dando il suo continuo incoraggiamento e sostegno, riconoscendolo come dono di Dio e speranza per gli uomini.
Nell’omelia per il XXV anniversario del suo pontificato, Giovanni Paolo II aveva voluto condividere con tutta la chiesa la sua esperienza intima come successore di Pietro. Egli confidava come ogni giorno si svolgesse all’interno del suo cuore lo stesso dialogo che era passato tra Gesù e Pietro. Alla domanda: «Mi ami tu? Mi ami più di costoro?», pur consapevole della sua umana fragilità, sentiva che Gesù stesso lo incoraggiava a rispondere con fiducia come Pietro: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo».
La storia del Movimento dei focoari è, in questi ultimi 27 anni, una riprova del “di più” d’amore che ha albergato nel cuore di Giovanni Paolo II. Questo suo “di più” d’amore ha chiamato il nostro, per cui il papa è entrato nel più profondo del cuore di ogni membro del movimento. Non si può perciò dire a parole semplicemente umane chi egli è stato per noi.
Tornano in mente molti ricordi legati alle udienze private, che mi ha concesso, spesso durante inviti a pranzo in casa sua; la sua presenza alle nostre manifestazioni pubbliche; le sue lettere personali piene di caloroso affetto e le squisite telefonate con le quali gli ultimi anni, nel giorno di Santa Chiara, e quest’anno anche per il mio compleanno, egli ha voluto farmi gli auguri. Sono momenti che hanno segnato altrettante pietre miliari nella storia del nostro movimento.
Ora, al momento della dipartita del Santo Padre, si rimane meravigliati e con l’animo riconoscente di fronte a tanto amore e, al contempo, si è grati a Dio di avere potuto essergli stati accanto a dargli una mano, come figli e “sorella”, come ha voluto chiamarmi in una sua ultima lettera.
Pochi giorni dopo la sua elezione egli aveva voluto conoscermi e mi aveva invitato ad assistere alla messa da lui celebrata nella cappella privata. In quella occasione si era reso conto, da una carta geografica che gli avevo portato, della diffusione del nostro movimento. Negli anni seguenti, era venuto a conoscere, con grande gioia, in tutte le parti del mondo, dove si era fatto pellegrino, il nostro «popolo focolarino», come lo chiamava, e ci aveva detto più volte che la nostra presenza gli era di conforto e di sostegno nel suoi viaggi apostolici.
Una data indimenticabile, che rimane tra le più belle della nostra storia, è il 19 agosto 1984, giorno della sua visita al nostro Centro internazionale, a Rocca di papa. In quella occasione egli non ha solo individuato nell’amore «la scintilla ispiratrice di tutto quello che si fa sotto il nome di focolare», ha anche espresso quanto noi non osavamo dire affermando che ravvisava nel nostro movimento «la stessa fisionomia della chiesa così come essa si era autodefinita nel Concilio Vaticano II».
Un altro episodio molto significativo risale al 23 settembre 1985, quando, sulla porta, al termine di un’udienza, guardando al futuro, ho ardito chiedergli: «Ritiene possibile che il presidente del Movimento dei focolari, di quest’Opera, che è di Maria, sia sempre una donna?». «Sì – aveva risposto – magari!». Ed è stato dalle sue parole, che motivavano quel “sì”, che mi si è aperta, per la prima volta, quella nuova coscienza della chiesa nelle sue due dimensioni: quella petrina e quella mariana. «Si ritrovano nella chiesa nascente – aveva affermato, citando il teologo Hans Urs von Balthasar – e devono rimanere!».
È stata questa la grande novità che il papa negli anni seguenti ha più volte richiamato. Egli non vedeva il “profilo mariano” della chiesa soltanto come realtà spirituale o mistica, ma anche come realtà storica e lo testimoniava con i fatti, spalancando le porte alle novità dello Spirito.
Abbiamo fatto una straordinaria esperienza di questa sua apertura nello storico incontro dei nuovi movimenti e comunità ecclesiali, la vigilia della Pentecoste 1998, in piazza San Pietro. In quella occasione, egli ha affermato che «l’aspetto istituzionale e quello carismatico (di cui queste nuove realtà della chiesa sono un’espressione) sono coessenziali alla costituzione della chiesa e concorrono (…) alla sua vita, al suo rinnovamento, e alla santificazione del popolo di Dio».
Il nostro tripudio è stato immenso.
Sin dall’inizio del suo pontificato, il Santo Padre aveva riconosciuto nella fioritura dei movimenti ecclesiali «uno dei doni dello Spirito elargiti al nostro tempo» e ci aveva “lanciati” a portare nel cuore della chiesa i carismi ricevuti; ma non avremmo mai immaginato che un giorno ci avrebbe assegnato un tale posto.
Penso che se i cristiani accetteranno con cuore aperto e si adegueranno a questa autentica rivoluzione che Giovanni Paolo II ha portato nel campo dell’ecclesiologia, il mondo vedrà sviluppi impensati nella Sposa di Cristo, perché lo Spirito Santo con i suoi carismi è in grado di rinnovarla costantemente, di renderla più viva, più dinamica, più bella, più accettabile, più amabile, più vicina a tutti.
Ci sono altri episodi che riguardano ancora direttamente il nostro movimento e che dicono pure essi il “di più” d’amore del Santo Padre.
Con gli anni erano nate, anche in giovani, famiglie, persone delle più varie categorie, anglicani, luterani, ortodossi e di altre chiese, le stesse vocazioni fiorite nell’Opera di Maria tra i cattolici. Era una novità, a lungo sotto studio da parte di molti canonisti, ma per la quale sembrava non si trovasse una via di uscita. Ad un certo punto ne ho parlato con il Papa che si è dimostrato apertissimo.
Alla seconda udienza sull’argomento, anche quella volta, in piedi, mi ha detto con la sua consueta arguzia; «Ho capito. Devo dire: lasciate stare l’Opera di Maria che è di Maria!». E la situazione si è sbloccata.
Ricordo che quella notte all’improvviso m’è passato un pensiero: «Se c’è un punto che è ancora di ostacolo nel cammino ecumenico, è proprio il ministero del papa. Ma chi li ha “accolti” questi focolarini delle altre chiese? Proprio il papa». Questo resterà nella storia.
Il Santo Padre è andato poi ancora oltre: è stato per suo suggerimento che ora anche vescovi di altre chiese si incontrano regolarmente, ormai da anni, per alimentare il loro ministero con la “spiritualità dell’unità” già condivisa; da molti vescovi cattolici, dei quali ha approvato il legame, non giuridico ma spirituale, con l’Opera di Maria.
È a questi stessi vescovi che egli ha voluto sottolineare, in due occasioni che la “spiritualità di comunione”, da lui data a tutta la chiesa nella Novo millennio ineunte, caratterizza il nostro movimento e viene persino arricchita dalla sua testimonianza di unità.
Quando si guarda ciò che il papa ha operato per la chiesa e per l’umanità, si rimane stupiti. Il suo ministero ha avuto una tale dimensione, un tale peso e una tale influenza che solo con il tempo se ne capirà tutta la portata.
Il ruolo provvidenziale da lui svolto nell’avvento del crollo dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est è palese. Esso passa anche per quel doloroso attentato, dove, quale chicco di grano, quasi moriva per portare molto frutto. E un arcano disegno che ce lo ha ridato, miracolosamente illeso, e che ha legato per sempre la sua figura a quella della Madonna di Fatima.
Come non ricordare, poi, l’audace sua iniziativa di chiamare due volte, ad Assisi, in vista della pace nel mondo, rappresentanti delle diverse religioni. È stato un altro vero capolavoro del suo pontificato, che ha segnato una svolta nella storia dei rapporti tra credenti.
E come dimenticare i suoi festosi incontri con i giovani, incontri che più di una volta hanno sbalordito il mondo intero per la loro straordinaria risonanza e vastità? I giovani del nostro movimento avevano intuito la ferma fiducia che il papa riponeva in loro e hanno visto in lui un loro leader.
Sì, possiamo essere orgogliosi e grati allo Spirito Santo di averci dato per lunghi anni un papa come Giovanni Paolo II e siamo certi che presto la chiesa lo eleverà agli altari.
Ha fatto il giro del mondo la notizia che al risveglio dall’operazione tracheotomia il Santo Padre aveva scritto su un foglio «Io sono sempre totus tuus!».
Questo motto totus tuus è stato la sua verità vissuta, quella verità che ha conferito un inconfondibile stampo mariano e che l’ha reso così grande e così delicatamente umano, così alto e allo stesso tempo così uomo di tutti, autentico “servo dei servi di Dio”.
*Città Nuova n° 7/2005, pp. 10-12. Articolo scritto da Chiara Lubich, già gravemente ammalata, in occasione della morte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 aprile 2005.