Giovanni Brusca è tornato in libertà: è giusto?

Giovanni Brusca è stato responsabile della strage di Capaci e della morte del giudice Rocco Chinnici, fu lui a uccidere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, ma allora perché è tornato in libertà? La legge che lo ha scarcerato fu voluta da Giovanni Falcone e lo Stato di diritto deve mantenere gli impegni presi. Questo non vuol dire che non sia necessario cambiarla. Un commento.  
Giovanni Brusca al momento dell'arresto nel 1996

Giovanni Brusca è uscito dal carcere. Ha scontato la sua pena di 25 anni di detenzione: per altri quattro vivrà in libertà vigilata. L’indignazione che ha accompagnato la sua ritrovata libertà ha attraversato il Paese da Nord a Sud, dai più anziani ai più giovani, anche se questi ultimi non ricordano i tantissimi delitti commessi da quest’uomo che veniva chiamato lo “scannacristiani”: un soprannome di cui andava fiero. In Sicilia, il termine “cristiani” non ha, in questo caso, nessuna accezione religiosa, sta per “persone”.

L’indignazione è legittima. È giusta. Se non ci fosse dovremmo preoccuparci, perché significherebbe che la coscienza etica avrebbe avuto un bel balzo all’indietro. Ciò che Brusca, “u verru” ha fatto, è indescrivibile. “U verru”, cioè “il porco”, è l’altro soprannome del boss di San Giuseppe Jato, braccio destro di Totò Riina. Ha ucciso e tolto la vita senza pensarci due volte, ha premuto il pulsante del detonatore dell’auto che uccise il giudice Rocco Chinnici, della strage di Capaci, ha ucciso il piccolo Giuseppe Di Matteo (dopo più di due anni di detenzione) e ha sciolto il suo corpo nell’acido.

Ma Giovanni Brusca, una volta catturato, il 20 maggio 1996, iniziò quasi subito a collaborare con la giustizia. La notizia trapelò solo molto tempo dopo, ma la sua collaborazione era cominciata già dopo poche settimane. Pentimento ? Probabilmente no. Potremmo dire anche qualcosa in più di quel “probabilmente”, ma non si può entrare nell’animo umano.

Brusca fece i suoi conti e, come il fratello Enzo Salvatore, più giovane di lui, decise di collaborare con lo Stato per averne i benefici. Rivelò molti nomi, testimoniò in processi, aiutò a catturare altri uomini della mafia. Oggi, come era ampiamente atteso, riceve quanto gli era dovuto per quella collaborazione: la scarcerazione anticipata.

Brusca è un uomo libero in virtù della legge che era stata voluta da Giovanni Falcone e grazie alla quale il magistrato era riuscito ad ottenere la collaborazione di Tommaso Buscetta e di altri esponenti di Cosa Nostra ed aveva potuto imbastire il maxi-processo, che aveva portato a decine di ergastoli e centinaia di condanne. Grazie a quella legge si era riusciti a scardinare un’organizzazione criminale quasi perfetta che aveva nella legge dell’omertà e nelle vendette trasversali uno dei suoi punti di forza. Ma le leggi sono perfettibili, possono anche essere modificate. Anche Falcone lo avrebbe fatto.

La mafia non è stata sconfitta perché purtroppo un sistema lassista le ha permesso di riorganizzarsi e forse perché le complicità di uomini delle istituzioni, mai sufficientemente indagate, le hanno permesso di riorganizzarsi. Oggi, messe da parte le stragi ed i bagni di sangue che le attiravano addosso un’attenzione eccessiva da parte dello Stato, la mafia è tornata a “inabissarsi”, ma non ha rinunciato a fare affari.

L’indignazione per la scarcerazione di Brusca, dunque, è legittima e bisognerebbe preoccuparsi se non ci fosse. In Italia, la condanna all’ergastolo si sconta oggi con una pena massima di 30 anni. Solo l’ergastolo ostativo, quello che è stato applicato per uomini come Bernardo Provenzano e Totò Riina, o per altri boss ancora nelle patrie galere, che non hanno mai collaborato con la giustizia, lascia in carcere i criminali. Ma Provenzano e Riina sono morti in un letto d’ospedale, un letto che non è per niente dissimile da quello che avrebbero occupato se fossero stati uomini liberi. Non è stato consentito ai familiari di incontrarli prima della morte. Nel caso di Riina il permesso arrivò troppo tardi. Quell’episodio – lo ricordo ancora oggi – mi turbò. Mai bisogna dimenticare la «pietas» degli antichi latini. Mai bisogna dimenticare i nostri doveri di umanità.

E non bisogna dimenticare anche che l’ergastolo ostativo, quello del “fine pena mai”, è stato recentemente sanzionato anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e su esso si è espressa anche la Corte Costituzionale perché sarebbe in contrasto con alcuni articoli della Costituzione. Ma esso era anche parte del famoso «papello» di Totò Riina, faceva parte cioè delle richieste del boss, nell’ambito della cosiddetta «trattativa Stato – mafia».

Brusca ha stipulato un patto con lo Stato, un patto di reciproca utilità, come aveva voluto Giovanni Falcone. Lo Stato ha rispettato quel patto. Lo Stato mantiene i suoi impegni. Le regole valgono per tutti. Averlo fatto, sul piano giuridico, è un segnale di forza, non di debolezza, come vorrebbero alcuni. Lo Stato di diritto mantiene sempre i suoi impegni. In virtù della collaborazione di Brusca, come prevede la legge, gli ha cancellato la condanna a vita e – una volta espiata la condanna a 25 anni – lo ha restituito alla libertà. Vivrà in una località protetta, con una nuova identità, forse insieme al figlio.

Ma lo Stato non ha fatto ancora tutta la sua parte. Che sia uno Stato forte e credibile, come purtroppo non ha sempre dimostrato in passato, dipende anche dalla storia futura. Brusca, per la sua statura criminale, non potrà mai essere un uomo completamente libero.

Ha collaborato ed ha permesso numerosi arresti. Probabilmente non ha detto tutto e più di uno – come l’ex giudice di Palermo Silvana Saguto –, afferma che ha parlato solo dei suoi nemici, ma ha salvaguardato molti amici. Pronto a passare all’incasso una volta libero. Lo Stato deve impedire che Brusca possa riprendere, in tutto o in parte, i suoi collegamenti criminali, che possa continuare a delinquere o a far delinquere. Le maglie dei controlli di polizia non devono mai cessare attorno a quest’uomo la cui pericolosità è indubbia e il cui pentimento suscita più di una perplessità. Oggi, nonostante la richiesta di perdono di 5 anni fa, è più giusto parlare di “scelta di collaborare”. Una scelta di opportunità, con vantaggi reciproci, per lo Stato e per il collaboratore.

Quel “patto” voluto da Giovanni Falcone, che ha permesso numerosi arresti, doveva essere rispettato e correttamente stimato. Ma quel patto non è un «totem», quella legge non è stata data una volta per tutte. Sono passati 25 anni e se vi sono delle pecche, dei difetti da eliminare, deve essere fatto. Nell’interesse di tutti, ma prima di tutto nell’interesse di un Paese che vuole tornare a vivere e che ha il diritto di guardare al suo futuro con ottimismo.

Alcune cose sono da rivedere. Bisogna soprattutto capire perché non si è riusciti a scardinare quel famoso o famigerato “terzo livello”, quello della presunta contiguità con i “colletti bianchi” e con gli uomini di potere, di cui Buscetta parlò solo in parte. «Dottor Falcone – disse – noi dobbiamo decidere solo una cosa: chi deve morire prima, lei o io?».

Troppe ombre sono rimaste: la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino, la mancata perquisizione nel covo di Riina, le connivenze tra Cosa Nostra e uomini e leader di alcuni partiti (di cui si è occupata anche una recente inchiesta di Report).

Oggi dobbiamo preoccuparci di tutto questo. E credo che questa sia la vera emergenza dello Stato. Non solo quella di un uomo, un brutale carnefice, che oggi è tornato in libertà. La vita umana è limitata. Per tutti. Tra qualche tempo Brusca, come ciascuno di noi, avrà concluso la sua esistenza. Oltre quel limite che è la vita umana rimarrà invece il nostro dovere di consegnare alle future generazioni un Paese migliore.

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