Giovanni Boldini: lo spettacolo della modernità

A Forlì la grandiosa retrospettiva di un pittore vivace, elettrico, che usa colori vaporosi, inesausto cantore delle gioie del vivere
Boldini - la divina in blu

La donna come soggetto, come forma di conquista, immagine struggente e fascinosa. Rapinatrice del cuore degli uomini, centro di una società che vuole essere brillante, mostrarsi, apparire nel suo fulgore nell’Europa – Parigi soprattutto – della fin du siècle dell’800 e dei primi anni del XX secolo.

E accanto alla donna, signori e bambini, insomma una umanità che è piena di vita e la vuole far vedere. C’è allora bisogno di un artista che sappia essere scintillante senza lusingare troppo, veloce senza cadere nella superficialità, abile nel trattare con un guizzo un motto di spirito, una posa, un carattere. Un pittore che sappia piacere a chi ritrae perché è vivace, elettrico, e usa colori vaporosi. Un uomo che non abbia timore di geni scontrosi come Verdi e abbia il coraggio di affrontarlo all’uscita dall’Opèra, intabarrato, o costringerlo a qualche seduta di posa, cogliendone la severa bonomia.

Questo artista è Giovanni Boldini di Ferrara, vissuto a Parigi dove muore nel 1931. A lui Forlì, ai Musei san Domenico, offre una retrospettiva grandiosa che parte dai suoi primi contatti con i Macchiaioli alla grafica, dai ritratti femminili a quelli dei bambini, in una attività prolifica inesausta e in una carriera lunghissima. Boldini conosce De Nittis, Corcos e Zandomeneghi e a Parigi incontra certo il gran mondo artistico di Montmartre e dei “maledetti”, ma lui resta fede a sé stesso.

È affascinato da una Parigi in perenne moto, dallo spettacolo dell’Opéra, della corsa di cavalli, delle donne al ristorante, delle feste al Moulin Rouge. Ama i fruscii degli abiti di seta, le pose languide di femme fatali – sono gli anni di Salomè, Tosca nel teatro musicale –, le pennellate sottili e lunghissime che evocano un lusso portato con estrema eleganza.

Boldini esalta una società che si crede felice, perfetta ed eterna e che solo alla fine si colora di una vena di malinconia. La felicità, sembra dire, è qui, sulla terra soltanto, alla portata di tutti come la bellezza raffinata, secondo l’ideale di un Proust o di un Wilde e di un d’Annunzio. Sfilano davanti ai nostri occhi allora i ritratti per cui Boldini è stato così celebre. Eccone alcuni esempi.

La Signora seduta con ciliege, striata a colpi di pennello nervosi; la “Divina” in blu (1905), apparizione seducente e “fatale” di una misteriosa icona femminile; le Ballerine spagnole al Moulin Rouge, lampi di colori; Madame Charles Max, fruscii di seta bianche come una evocazione di bellezza sublime; e Donna Franca Florio (1901) bellezza siciliana in nero con una lunghissima collana di perle, immagine di un nobiltà che sa di essere ammaliante.

E per i ritratti maschili, oltre a quello celebre di Verdi, ecco il Conte Robert de Montesquiou (1897), in posa oscillante di dandy, in abito grigio marron chiaro: un mondo che si credeva immortale, distrutto dalla prima guerra mondiale.

Chi non si distrugge è Boldini che alterna paesaggi freschi a schizzi sensuali, una vita mondana a sedute di posa, e si autoritrae infinite volte, da quando è giovane con i baffetti all’insù a quando è vecchio, sempre vivace e brillante.

A scorrere questa deliziosa e fondamentale rassegna non solo si conosce un mondo che sempre tenta di risorgere – anche oggi, pur con forme diverse, il mondo dei ricchi -, ma pure lui, il pittore inesausto cantore delle gioie del vivere e di una bellezza femminile icona della giovinezza eterna, fatale come una divinità tardoromantica.

 

Boldini, lo spettacolo della modernità. Forlì, San Domenico. Fino al 14/6 (catalogo Silvana Editoriale).

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