Giovani iperconnessi ma “isolazionisti”

Secondo il  Censis, nell'Italia del miracolo economico, il 57 per cento delle persone erano giovani con meno di 35 anni, nell'Italia del "letargo" si sono ridotti al 35 per cento della popolazione. Spesso incerti e insicuri, iper tecnologici ma con una scarsissima propensione a investire sul medio periodo per costruirsi un futuro
Giovani

«Arrabbiato con i vecchi? Certo che sì. Ci hanno rubato il futuro in nome della nostalgia di un mondo che non esiste più. Loro fanno festa. E il conto da pagare lo lasciano a noi». Robert Mead ha 26 anni, un master in Belle arti da finire all’Università di Londra e – dopo il trionfo del "Leave" – tanta rabbia da sfogare. Il 75 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha votato "Remain". Ma non è bastato, perché il 66 per cento degli ultra 65enni ha detto "out".

 

A un primo sguardo di superficie, le conseguenze della Brexit, per questioni anagrafiche, le pagano loro, i giovani trapiantati a Londra per vari motivi. Ricerche finanziate da fondi europei, scambi con facoltà estere, Erasmus commesse. Loro, i giovani, non hanno il benché minimo senso dei confini. Hanno mixato sogni, amori, amici, gioie e delusioni viaggiando per l’Europa, senza passaporto. I nonni invece che stanno benissimo hanno paura di rifugiati, recessione, persino della disoccupazione, come se dovessero lavorare ancora a 80 anni suonati. In realtà, avverte Giuseppe De Rita, sociologo di lungo corso e presidente del Censis, la contrapposizione non è scontata, i “cattivi” conservatori da una parte contro i “buoni” globalizzati dall’altra.

 

Ha vinto, in pratica, la politica calda di padri e nonni, quella della protesta del Sessantotto o del Maggio francese in cui la cultura sociale era fatta di valori e di ideali con una gran voglia di futuro. E ai giovani sta bene semplicemente un’Europa fredda e tecnocratica, quella di Juncker e delle banche, in cui stanno perdendo – è vero – delle reali opportunità ma in loro sta una sorta di chiusura autoreferenziale: con lo smartphone tra le mani, non vivono consapevolmente la loro storia e si limitano a vivere il qui ed ora senza farsi un’opinione personale e tantomeno collettiva. Fino a quando i giovani di oggi non diventeranno maggioranza in un referendum e saranno statisticamente minoranza, e lo saranno sempre di più perché la generazione attuale invecchia lentamente, non si può dire certo che portino avanti la storia.

 

Secondo il Censis, gli italiani "isolazionisti" sono più diffusi tra i giovani. «Il 10 per cento dei millennials di 18-34 anni (1,1 milioni) non vuole avere rapporti con persone di altre età. Il 5,6 per cento si fa visitare solo da un medico giovane, il 10,8 per cento acquista solo in presenza di un commesso coetaneo, il 12 per cento accetta consigli solo da altri giovani». Ma perché così tanti giovani sono sulla trincea generazionale? «Perché sono pochi e sono sempre meno», commentano gli esperti.

 

Nel 1951 i grandi vecchi con 80 anni e oltre erano solo 622mila, mentre oggi sono poco meno di 4 milioni. Chi non è ancora arrivato agli "anta" si sente insomma una specie in via di estinzione, e reagisce di conseguenza: i giovani oggi vivono in una sorta di "tribù generazionale" che preferisce avere scarsi rapporti con i più anziani. Di conseguenza lo scambio tra le fasce d'età si riduce sempre più.

 

In sintesi, osserva il Censis, nell'Italia del miracolo economico, il 57 per cento delle persone erano giovani con meno di 35 anni, nell'Italia del "letargo" si sono ridotti al 35 per cento della popolazione». E per di più sono giovani incerti e insicuri, alla ricerca del sensazionale, dell’esperienza "forte", iper tecnologici ma con una scarsissima propensione a investire sul medio periodo per costruirsi un futuro. Vivono a singhiozzo, un’esperienza dopo l’altra, uno stage sovrapposto all’altro, privi di rotta ma ancor più della responsabilità di farsi nocchieri della propria traversata. Prigionieri della Rete e dei loro telefonini, non fanno emergere un sentire collettivo: è come se ciascuno parlasse per se stesso. Se non hanno alle spalle una famiglia propulsiva o figure di riferimento importanti, tutto per loro si parcellizza in micro esperienze quotidiane fatte di transitorietà e di immediatezza come se la loro stessa agenda fosse a giorni contati, tutti da vivere allo stremo ma poco da pianificare, in vista di un futuro intermedio che non si intravede quasi per nulla.

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