Il Giorno del Ricordo (1943-2023): una data per chi nega le foibe
A due settimane dalla Giornata della Memoria – in cui è stato ricordato l’Olocausto, cioè le vittime, ebree e non solo, di Auschwitz e degli altri lager nazisti prima e durante la II Guerra Mondiale – si celebra oggi, 10 febbraio, il Giorno del Ricordo. Non è un’acrobazia di parole per evitare i doppioni, è una data-evento importante istituita con una legge del nostro Parlamento nel 2004. Per commemorare e onorare gli italiani colpiti da discriminazioni, persecuzioni, omicidi, stragi e altre violenze in Istria, a Fiume e in Dalmazia fra il 1943 (sono passati 80 anni da quell’inizio sciagurato) e il 1947. Cioè a guerra finita da oltre due anni!
Il 10 febbraio non è stato scelto a caso, è una data appropriata che sa oltre che di dolore pure di denuncia e di rimpianto. Infatti il 10 febbraio 1947 venne firmato a Parigi il trattato di pace che assegnava l’Istria, il Quarnaro, Zara e una parte del Friuli Venezia Giulia alla Jugoslavia. Tutto questo in contraddizione con il precedente Patto di Londra, che conservava all’Italia quei territori. L’amara conseguenza fu che anche dopo il ’47 continuarono gli abusi e le efferatezze, a danno di militari e soprattutto civili italiani, cominciate fin dai primi anni ’40, di pari passo con l’avanzata dei partigiani di Tito e l’affermazione del regime comunista in Jugolslavia.
Fu allora infatti che si scatenò in quelle regioni la rappresaglia dei combattenti e delle autorità titine contro la massa dei cittadini italiani, accusati indiscriminatamente di essere stati fascisti e di aver abusato in tutti i modi – anche i più iniqui, a danno delle popolazioni locali – del loro potere di occupanti. Mentre la maggior parte di questi, come è stato ampiamente dimostrato in seguito da documenti e testimonianze, erano innocenti lavoratori, semplici insegnanti, impiegati, professionisti e imprenditori, che si erano trasferiti a volte da decenni sull’altra sponda dell’Adriatico per fare il loro lavoro, non si erano compromessi con il regime mussoliniano e avevano condotto un’esistenza pacifica e operosa, anche a vantaggio dei paesi e dei popoli autoctoni.
È stata l’ora dell’odio e della violenza, del rancore (il più delle volte ingiustificato) e della menzogna, delle delazioni e delle vendette anche personali, del fanatismo ideologico e della strumentalizzazione politica. Migliaia di italiani subirono confische e rapine, arresti, interrogatori, carcere, campi di concentramento, processi sommari e anche condanne a morte. Per molti (sul numero gli storici oscillano da 3 a 20 mila) ci fu l’orrenda sorte delle foibe, le spaccature naturali del terreno, profonde anche centinaia di metri lungo le montagne del Carso, dove furono gettati dopo essere stati trucidati o anche vivi, a volte due persone insieme legate l’una all’altra con il fil di ferro. Sul fondo dei burroni di Vines o di Monrupino si compiva quella in cui alcuni studiosi ravvisano una vera e propria pulizia etnica. Tanti poveri corpi sono stati recuperati e pietosamente sepolti. Come quelli della Foiba di Basovizza, vicino Trieste, profonda quasi 230 metri, dove morirono non meno di 2000 sventurati. Oggi è meta di visite, pellegrinaggi e commemorazioni al pari di Dachau o Buchenwald.
Chi si salvò dalla barbarie fu costretto a emigrare. In 250 mila tra dalmati, istriani e viciniori si sparsero per tutta la Penisola. A Roma il rione Giuliano-Dalmata è sulla Laurentina, vicino all’Eur. Il Giorno del Ricordo rende onore a questi caduti e alla prima generazione dei profughi. Esattamente come la Giornata della Memoria, questa data deve servire a ricordare perché l’orrore non si ripeta. E neanche si scordi o si disconosca, come qualcuno ha fatto con l’Olocausto e altri si ostinano a fare con le Foibe. E con tutto quello che le ha preparate e rese possibili. Una data per confondere chi nega, anche se fa il rettore universitario!
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