Giornata nazionale del Braille

In occasione della Giornata nazionale del Braille riportiamo la testimonianza di suor Maria Rosa Affinito, appartenente alle suore non vedenti dell'ordine Sacramentino di don Orione, per la quale la mancanza della vista rappresenta una grande fecondità di apostolato
(Foto: Pixabay)

«La società italiana ha bisogno di speranza, e questa viene soprattutto dalla testimonianza di persone che, nella propria condizione di fragilità, non si chiudono, non si piangono addosso, ma si impegnano insieme agli altri per migliorare le cose». Sono le parole che papa Francesco ha rivolto tempo fa ai membri dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. Le ricordiamo proprio nella Giornata Nazionale del Braille, l’alfabeto usato dalle persone non vedenti che prende il nome da suo inventore, Louis Braille. Un metodo che ha quasi 200 anni e che è riuscito a stare al passo con i tempi: una sua versione digitale, infatti, viene utilizzata da apposite tastiere che fanno apparire i caratteri tattili e che, attaccate a computer, tablet o smartphone, trasformano in braille il contenuto di un ebook o un sito web.

Francesco unione ipovedenti
Vaticano, papa Francesco incontra i Membri dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, 12.10.22 (Foto Vatican Media/LaPresse)

Le parole di papa Francesco trovano riscontro nella vita di molte le persone che ogni giorno sanno coltivare e comunicare la speranza. Tra queste, Maria Rosa Affinito, in religione suor Maria Rosa dello Spirito Santo, da 24 anni religiosa dell’Istituto delle Piccole Suore Missionarie della Carità di don Orione. In particolare, Suor Maria Rosa fa parte delle suore Sacramentine, una comunità di suore non vedenti con il compito specifico dell’adorazione eucaristica che proprio il fondatore, nel 1927, ha voluto come forza di apostolato della preghiera all’interno dell’Istituto.

«Offriamo la privazione della vista per tutti i fratelli che non hanno la luce di Gesù nel cuore. Offriamo per questa fecondità apostolica», spiega la religiosa. «La carità contemplativa e la carità attiva vanno insieme, per questo dove c’era un santuario don Orione voleva che ci fossero le opere di carità. La preghiera è una grande missione. Sono contenta di avere fatto questa scelta, non ho dato qualcosa al Signore, ho dato tutta me stessa». Parla dalla Spagna, dove da qualche anno svolge la sua missione. Una voce gioiosa, una vita piena, di cui è grata al Signore: «sono veramente contenta della chiamata che Lui mi ha fatto e della forza che mi ha dato per poter rispondere, perché la fedeltà, la perseveranza, non sono opera nostra. Per qualsiasi cosa, dobbiamo chiedere a Lui la grazia».

Don Orione era fermamente convinto che il carisma fosse un dono che doveva essere condiviso da tutti: «c’è un posto per tutti!», diceva, valorizzando in questo modo l’impegno apostolico della preghiera. «Basta amare tanto il Signore, la Chiesa e il prossimo». La missione delle suore Sacramentine, che vivono il carisma orionino, è l’adorazione, il ringraziamento, l’impetrazione. Vivono lo spirito eucaristico per una testimonianza di vita apostolica. «La loro serenità è un continuo apostolato», affermava don Orione. Attualmente le religiose Sacramentine si trovano in Italia, a Tortona, dove il fondatore ha voluto la prima comunità, in Argentina, Cile, Brasile, Kenya e Albania. Con i metodi di scrittura «Braille» e con i nuovi mezzi di comunicazione tessono relazioni di prossimità con le persone che hanno bisogno di sostegno spirituale, comunicando speranza.

La storia di suor Maria Rosa è quella di una ragazza che fin da piccola sente il desiderio di partecipare attivamente alla vita della parrocchia, di mettersi al servizio aiutando nell’animazione. «Ho fatto anche un corso di centralinista, perchè pensavo di inserirmi nel mondo del lavoro, avevo pensato anche a sposarmi», rivela. Poi, con il passare degli anni, avverte la chiamata alla vita religiosa. «Quando ho cominciato a dirlo ai miei, però, hanno opposto un rifiuto, non capivano la mia scelta, ma io ho cominciato a cercare un Istituto in cui accogliessero anche persone non vedenti. Era difficile trovarlo a quei tempi. Nella chiesa, don Orione è stato il primo a pensare una consacrazione per le ragazze non vedenti, perché, diceva: «non vedono ma hanno un cuore per amare».

La tenacia di Maria Rosa le fa trovare la strada: «Poiché ero abbonata a un giornale per non vedenti, ho scritto alla redazione dicendo che volevo diventare suora ma non trovavo come realizzare questa mia vocazione. Dopo un po’ è arrivata una lettera di una mia consorella da Tortona che mi diceva che esisteva l’ordine di Don Orione. A me si è aperto il cuore: era la speranza di un posto in cui potere realizzare il mio desiderio!». Nonostante le resistenze da parte della famiglia, dopo sette anni dall’incontro con le Piccole Suore Missionarie della Carità, il 13 maggio 1996 prende la decisione di entrare nell’Istituto e nel 1999 diventa suora Sacramentina.

Ora suor Maria Rosa svolge la sua missione in Spagna dove, con altre due suore, è inserita nel «Piccolo Cottolengo», una casa in cui vivono ragazzi con disabilità. «Lì, la consorella vedente svolge l’apostolato nell’hogar don Orione, mentre la nostra giornata è scandita dalla preghiera di adorazione», spiega. Al mattino, infatti, le suore pregano davanti all’Eucaristia nella cappella dell’hogar che è sempre aperta al pubblico e, nel pomeriggio, dalle 17.00 alle 20.00, vanno in parrocchia per l’adorazione eucaristica, il rosario e la S. Messa. «La mancanza della vista è per me una grande fecondità di apostolato – sottolinea suor Affinito –, perché le prediche non si fanno con le parole, ma con l’esempio di vita, con la serenità, con l’accettazione dei problemi. Questa è la grande predica che si può fare alle persone».

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