Giornata del rifugiato: insieme per fare la differenza
Quante sono oggi le persone costrette a fuggire da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani? È possibile invertire la tendenza che vede crescere sempre più il loro numero? I dati del rapporto annuale Global Trends dell’Unhcr registrano un aumento del numero dei rifugiati nel mondo nonostante la pandemia e l’appello per un “cessate il fuoco” globale. I conflitti attualmente in corso hanno costretto 82,4 milioni di persone ad abbandonare le proprie case: un aumento del 4% rispetto alla cifra di 79,5 milioni di persone in fuga registrata alla fine del 2019. La Giornata mondiale del rifugiato, che ricorre il 20 giugno, ricorda a tutti l’urgenza di intensificare gli sforzi per promuovere la pace e la cooperazione internazionale. Una Giornata indetta dalle Nazioni Unite nel 2001 per celebrare il 50° anniversario della Convenzione di Ginevra nella quale si affermano i diritti dei migranti forzati e gli obblighi legali degli Stati di proteggerli: nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o la propria libertà potrebbero essere minacciate.
Secondo le stime dell’Unhcr, il 2020 è il nono anno di aumento ininterrotto dei movimenti forzati nel mondo. «Dietro ogni numero c’è una persona costretta a lasciare la propria casa e una storia di fuga, di espropriazione e sofferenza. Meritano la nostra attenzione e il nostro sostegno non solo con gli aiuti umanitari, ma con soluzioni alla loro situazione», ricorda in una nota Filippo Grandi, l’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Le ragazze e i ragazzi sotto i 18 anni, infatti, rappresentano il 42% delle persone costrette alla fuga e quasi un milione di bambini sono nati rifugiati tra il 2018 e il 2020.
«Per trovare soluzioni adeguate occorre che i leader globali e le persone influenti mettano da parte le loro differenze, pongano fine a un approccio egoistico alla politica e si concentrino piuttosto sulla prevenzione e sulla risoluzione dei conflitti e sul rispetto dei diritti umani», auspica Grandi.
Quest’anno, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, l’Unhcr lancia la campagna “Insieme possiamo fare la differenza – Together we can do anything” per chiedere l’inclusione dei rifugiati in ogni ambito della società: dal lavoro allo studio, allo sport. Lavoro e formazione conferiscono dignità alle persone rifugiate consentendo loro di essere indipendenti e contribuire all’economia delle comunità ospitanti; lo studio aiuta a costruire un futuro migliore; lo sport promuove il benessere fisico e mentale e favorisce il legame con le comunità di accoglienza.
«I rifugiati sono studenti e insegnanti, sono atleti, sono cuochi, sono medici e infermieri. Portano con sé nella fuga un bagaglio di competenze che possono arricchire le comunità ospitanti, diventando risorse preziose per la società e per il bene comune», dichiara Chiara Cardoletti, Rappresentante Unhcr per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. Occorre, quindi, partire dai loro sogni, dai desideri e dalle potenzialità per aiutarli a realizzare progetti.
È l’intento di molte organizzazioni che già da anni hanno messo in atto molteplici iniziative ed è anche l’obiettivo di Cies Onlus (Centro informazione educazione allo sviluppo) che, attraverso SOFeL, lo Spazio di orientamento alla formazione e al lavoro, sta creando percorsi di formazione e inserimento lavorativo per giovani rifugiati. Si parte dalla persona, dalla sua storia, la si aiuta ad accrescere la fiducia in sé e a mettere a fuoco le proprie potenzialità.
Dal 2017 a oggi 500 giovani sono stati accompagnati in percorsi di inserimento lavorativo o di formazione; alcuni sono stati sostenuti in percorsi di avvio all’autoimpresa o allo start up d’impresa; 9 ragazzi con talenti sportivi, sono stati selezionati per una squadra calcistica semiprofessionistica. Anche le aziende sono state coinvolte in incontri di formazione in Diversity Management.
Volti e storie, come quella di Abdoulaye, arrivato dal Senegal da minorenne percorrendo la tratta gestita dai trafficanti, che adesso ha un contratto da aiuto-chef e lavora per il ristorante Ginger o come quella di Yankuba, gambiano, che cuce borse e accessori artigianali per Samas con un contratto di tirocinio.
Insieme, è possibile fare la differenza. «C’è un tesoro nascosto nelle nostre società – dichiara Etta Melandri, presidente del Cies Onlus – che è il patrimonio migrante. È la chiave di volta non solo per un rilancio umanitario e il rispetto dei diritti, ma per la ripartenza della nostra stessa economia. Al di là del diritto, l’esperienza di questi anni a SOFeL ci dice che smettere di sfruttare, legalizzare, regolarizzare e in modo particolare puntare sul migrante e le sue abilità, conviene, non è buonismo, fa bene a tutti, a cominciare dal mercato».