Giornalisti al servizio della sinodalità?
Uno dei più straordinari mestieri al mondo, uno di quelli che richiedono una “vocazione”, cioè il giornalismo − come la medicina, come la ricerca, come la solidarietà −, vive oggi un momento nero, forse il peggiore da quando è stato inventato, dallo storico Erodoto e dal geografo Strabone, entrambi greci. Il fatto è che 4 fattori stanno rivoluzionando il nostro mestiere, tutti legati in un modo o nell’altro alla rivoluzione digitale e al capitalismo selvaggio: in primo luogo i social, che hanno risvegliato in ognuno dei suoi utenti il protagonismo di sentirsi produttori di notizie pur senza alcuna formazione, una minaccia che viene quindi da chiunque; l’intelligenza artificiale, che sa scrivere articoli decenti senza il contributo del giornalista, e questa volta la minaccia viene dalle macchine; in terzo lugo c’è una minaccia che viene dall’ideologia, dal male sistematizzato, è quella delle fake news, delle false notizie, ancor più dalla post-verità, cioè dall’idea che è vero solo quello faccio credere essere vero; infine, dall’individualismo e dal capitalismo selvaggio federati per fini commerciali, un sistema di pensiero e di influenza in gran parte non-evangelico e non-umano.
Da queste minacce sistemiche nascono, però, anche delle relative chance, delle possibilità di reinventare il nostro mestiere: i social ricordano che una comunicazione professionale che voglia essere efficace deve rivolgersi a tutti e ad ognuno, non al lettore massificato né a quello individualizzato; l’intelligenza artificiale, che può essere stipulato un patto tra macchine e giornalisti, mettiamoci assieme, non facciamoci la guerra, mettiamoci al servizio degli utenti e della qualità dell’informazione; la post-verità e le fake news ricordano in modo stringente che il solo scopo della nostra professione è la ricerca della verità raccontando la realtà; infine, l’individualismo capitalista evidenzia la funzione sociale dei media, per un mondo non più individualizzato, ma più armonico, coeso, unito.
Ricevendo in Vaticano i promotori del premio “È giornalismo”, a lui attribuito, papa Francesco ha voluto lanciare un appello ai colleghi: «In un tempo in cui tutti sembrano commentare tutto, anche a prescindere dai fatti e spesso ancora prima di essersi informati – ha detto loro −, si riscopra e si torni a coltivare sempre più il “principio di realtà”, cioè che la realtà è superiore all’idea, sempre: la realtà dei fatti, il dinamismo dei fatti; che mai sono immobili e sempre si evolvono, verso il bene o verso il male, per non correre il rischio che la società dell’informazione si trasformi nella società della disinformazione».
Ed ecco la stoccata: «La disinformazione è uno dei peccati del giornalismo, che sono 4: la disinformazione, quando un giornalismo non informa o informa male; la calunnia (a volte si usa questo); la diffamazione, che è diversa dalla calunnia ma distrugge; e il quarto è la coprofilia, cioè l’amore per lo scandalo, per le sporcizie, lo scandalo vende. La disinformazione è il primo dei peccati, degli sbagli – diciamo così – del giornalismo».
Secondo il papa, la soluzione prima sta a monte del mestiere del giornalismo: «Per far questo c’è bisogno di diffondere una cultura dell’incontro, una cultura del dialogo, una cultura dell’ascolto dell’altro e delle sue ragioni. La cultura digitale ci ha portato tante nuove possibilità di scambio, ma rischia anche di trasformare la comunicazione in slogan. No, la comunicazione è sempre andata e ritorno. Io dico, ascolto e rispondo, ma sempre dialogo. Non è uno slogan. Mi preoccupano ad esempio le manipolazioni di chi propaga interessatamente fake news per orientare l’opinione pubblica… La mia speranza è che si dia spazio alle voci di pace, a chi si impegna per porre fine a questo come a tanti altri conflitti, a chi non si arrende alla logica “cainista” della guerra ma continua a credere, nonostante tutto, alla logica della pace, alla logica del dialogo, alla logica della diplomazia».
Ed ecco la richiesta di aiuto: «Dobbiamo riscoprire la parola “insieme”. Camminare “insieme”. Interrogarsi “insieme”. Farsi carico “insieme” di un discernimento comunitario, che per noi è preghiera, come fecero i primi apostoli: è la sinodalità, che vorremmo far diventare abitudine quotidiana in ogni sua espressione». In vista del “Sinodo sulla sinodalità”, che pure non ha i crismi di una notizia che attira, «può sembrare qualcosa di astruso, autoreferenziale, eccessivamente tecnico, poco interessante per il grande pubblico», Francesco osa quindi «chiedere aiuto a voi, maestri di giornalismo: aiutatemi a raccontare questo processo per ciò che realmente è, uscendo dalla logica degli slogan e di racconti preconfezionati. No, la realtà. Qualcuno diceva: “L’unica verità è la realtà”. Sì, la realtà. Ne trarremo tutti vantaggio e, ne sono certo, anche questo “è giornalismo”».
Il papa è un comunicatore d’eccezione, ma non è un giornalista, anche se è stato premiato come lo fosse. Ma sa dare il quadro di riferimento nel quale il giornalismo ha da operare. Basterebbe rileggere l’Evangelii Gaudium, la Laudato si’, la Fratelli tutti per capirlo. Bergoglio-Francesco dà l’orizzonte etico, mette i paletti oltre i quali non andare, è il giornalista della Buona Novella. E anche con quest’invito sembra indicare la via.
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