Fare giornalismo dal fronte dello Yemen

Gravi violazioni del diritto umanitario, emergenza sanitaria, milioni di sfollati e le strategie dei “signori della guerra”. Intervista a Laura Silvia Battaglia, giornalista e documentarista.
EPA/YAHYA ARHAB

L’intricata e tragica situazione in Siria è un frammento di una guerra mondiale “a pezzetti” con decine di punti caldi in tutto il mondo. Sono 67 gli Stati interessati da controversie interne o con altri Paesi: alcune sono vicine, altre sono lontane, come le guerre che interessano 29 stati africani, facendo del continente nero la zona con più violenze al mondo.

Una guerra dimenticata è il conflitto in Yemen, in cui si sta verificando la più grave crisi umanitaria al mondo. Una coalizione a guida saudita ha deciso di intervenire a sostegno del governo locale mettendo sotto assedio i territori dove vivono i i sostenitori della famiglia al-Houthi, una delle famiglie più prominenti della componente etnica sciita-zaidita in Yemenso. Il Governo e il Parlamento italiano hanno autorizzato in occasioni diverse l’esportazione di armi verso Riyad e i suoi alleati, anche se il Parlamento europeo ha chiesto in due occasioni l’embargo delle armi verso l’Arabia Saudita e i suoi alleati.

Paradossalmente, la Germania ha bloccato l’invio di armi verso i Paesi coinvolti nel conflitto, ma una società controllata dalla tedesca Rheinmetall Defence riesce a raggirare l’embargo grazie all’italiana RWM Italia S.p.a., la quale produce bombe nel Sulcis-Iglesiente, in Sardegna.

Il conflitto è caratterizzato da violazioni del diritto umanitario internazionale da ambo le parti e, malgrado la gravità degli scontri, i nostri media sembrano ignorare la situazione yemenita. Al Festival internazionale del giornalismo, che si svolge annualmente a Perugia, abbiamo incontrato Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, ed esperta della situazione in Yemen. Nata a Catania, vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per l’agenzia video-giornalistica americano-libanese Transterra Media, l’agenzia turca TRTWorld, il servizio pubblico svizzero (RSI), Index on Censorship, The Fair Observer, Guernica Magazine, The Week India. Ha scritto, tra l’altro, il graphic novel “La sposa yemenita” (Becco Giallo, aprile 2017).

Battaglia, quanto è difficile svolgere il lavoro di reporter in Yemen?
C’è il rischio molto alto di morire perché non esiste il concetto del giornalismo indipendente. Se sei di Al Jazeera gli Huthi ti sparano, se sei della televisione russa o iraniana vieni preso di mira dalle forze della coalizione. Per le donne è più facile fare questo lavoro, ma c’è la concreta difficoltà di lavorare con documenti alla mano e fonti affidabili.

Eppure sembra che le informazioni vengano sottaciute oppure fatte uscire in ritardo, come l’inchiesta del “The New York Times”…
Conosco personalmente l’inchiesta in questione e e c’è stato solo un ritardo temporale nel reperire i documenti e altre prove video-fotografiche inoppugnabili. I giornalisti stranieri non possono entrare e fare il loro lavoro liberamente. Attualmente possono prendere un aereo a Riyad e raggiungere una zona in sicurezza da dove possono vedere la guerra da lontano; al ritorno vengono aggiornati da un briefing dei militari sauditi.

Guerra Yemen
Guerra Yemen

Ogni giorno abbiamo notizie dalla Siria, non sempre vere. Addirittura alcune immagini cruente sono state riprese in Yemen, ma associate alla Siria, come riportato da Riccardo Noury (Amnesty International) il 30 novembre scorso ad un convegno a Perugia. Perché stiamo assistendo a questo fenomeno di mala informazione?
In Siria si stanno scontrando direttamente le maggiori potenze mondiali e, per procura, le due potenze regionali: Iran e Arabia Saudita. Inoltre, la Siria era un Paese con una certa rilevanza a livello internazionale e con un certo livello di sviluppo economico. Sette anni di guerra lo hanno disintegrato e hanno causato un numero importante di profughi che vediamo nelle nostre città. Lo Yemen, invece, è sempre stato povero e non ha mai contato nulla sulla scena internazionale.

Sembra che esistano guerre tra ricchi, di serie A, e quelle tra poveri, di serie B, che vengono dimenticate…
No, la guerra in Yemen non deve essere di seconda importanza: milioni di persone rischiano di morire di fame e tante altre per malattie per le quali non sono disponibili i medicinali. Ho visto persone soffrire e morire per difterite, colera o con l’impossibilità di fare dialisi. Le scene più strazianti sono state quelle che ho visto nei cortili degli ospedali, dove le persone affette da tumore aspettavano letteralmente la morte.

Certo, i bombardamenti della coalizione a guida saudita su obiettivi civili come gli ospedali non hanno migliorato la situazione. Non sembra un assedio medievale, dove l’obiettivo è infliggere danni a tutta la popolazione invece che neutralizzare la forza militare degli Huthi?
Salman è stato chiaro: per arrivare ad una soluzione gli Huthi devono togliersi di mezzo. Devono arrendersi senza nessuna pretesa.Gli Huthi, peraltro, non hanno alcuna flessibilità e non vogliono recedere di un passo. Non a caso la monarchia saudita ha fatto acquisti di armamenti in tutto il mondo. Non di certo per lasciarli a prendere la polvere in qualche magazzino. Qui entrano in gioco i grandi interessi internazionali, signori della guerra che, con una previsione di breve periodo e orientato alla massimizzazione del profitto, tentano di fare affari in tutti i modi.

Quindi gli Huthi sono vittime?
Le vere vittime sono le persone che vivono in Yemen. Ho indagato personalmente per conto dell’Onu individuando violazioni del Diritto umanitario internazionale da ambo le parti. Gli Huthi hanno le loro responsabilità in questa tragedia, perché hanno imposto veti importanti prima dell’inizio del conflitto, come il rifiuto della demilitarizzazione già prevista e la consegna allo Stato delle armi.  Attualmente hanno creato delle milizie femminili che passano casa per casa, censendo i nuclei familiari per cooptare i ragazzi adatti al fronte e registrando i minorenni che saranno pronti nel giro di pochi anni. Una situazione molto pesante sotto il profilo dei diritti umani.

Siamo di fronte ad una tragedia in atto e ad una catastrofe preannunciata: una zona di conflitto in cui stanno confluendo miliardi di euro in armi. Si intravede una soluzione all’orizzonte?
La situazione in Yemen è molto complessa. Chi è implicato in questo conflitto vuole trovare una soluzione e alcuni diplomatici si incontrano in Oman, che svolge un ruolo simile alla Svizzera, ma la presenza di “signori della guerra” che speculano su questo conflitto non aiuta. Inoltre, le sorti della Siria impattano su questa guerra perché gli Huthi, anche se non sono telecomandati da Teheran, sono vicini all’Iran e guardano con attenzione al fronte siriano. D’altra parte, se qualcosa irrita i sauditi in Siria, si hanno conseguenze sul fronte yemenita.

E l’Onu?
L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha cambiato il suo terzo Inviato speciale per lo Yemen in 7 anni… e non sembra avere molto appeal con i suoi interlocutori.

 

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