Usa, la vittoria di Biden sui media esteri
«Trump rifiuta di riconoscere la sconfitta, gli eletti repubblicani tra lo scontento e il sostegno»: è il titolo di apertura del sito di Le Monde, uno dei principali quotidiani francesi. L’articolo si concentra soprattutto su come «la strategia di messa in causa del voto, portata avanti dal presidente e dai suoi fedelissimi, è condivisa da alcuni eletti. Ma altri, come Chris Christie, anch’egli considerato fedelissimi di vecchia data, chiedono alla Casa Bianca di “mostrare le prove”». Anche Le Figaro parla di un «Donald Trump e i suoi sostenitori tra l’angoscia e la negazione della sconfitta», mentre «sempre più repubblicani propendono per un’uscita di scena onorevole e un trasferimento ordinato del potere». Insomma, in Francia pare si guardi alla “questione Trump” più che all’insediamento di Biden, la cui vittoria e i cui capisaldi dell’azione politica vengono dai ormai per acclarati.
Dalla Spagna, viceversa, El Paìs titola «Biden e Harris preparano il grande cambiamento nella politica degli Stati Uniti»; e descrive come «il presidente eletto e la sua squadra iniziano a lavorare alle loro priorità: combattere la pandemia, la recessione economica, il cambiamento climatico e il razzismo». In un altro articolo, precisa anche che «l’ex presidente Bush si è smarcato da Trump e congratulato con Biden: “Si è guadagnato l’opportunità di unire il nostro Paese”», e dedica un reportage al “quartiere orribile di Atlanta”, una sorta di “ghetto nero”, che si è rivelato decisivo per la vittoria in Georgia. Attenzione più quindi alle implicazioni sociali della vittoria di Biden, che alle schermaglie politiche di un Trump che insiste sulle vie legali.
Anche dall’Inghilterra The Guardian apre con un articolo sull’agenda politica del duo Biden-Harris, relegando più in basso in pagina un articolo sul sostegno dei fedelissimi a Trump per mettere in discussione l’esito delle elezioni. Inverso invece l’approccio del Times, che apre con un «Trump si prepara per una battaglia legale sull’esito “iniquo” [notare il virgolettato che nella tradizione giornalistica anglosassone ha un grande peso, ndr] delle elezioni»; e pubblica un editoriale a forma di Clare Foges «Sono pro-Joe, ma risparmiatemi gli odiatori di Trump», in cui la giornalista mette in guardia dal rischio che il «trionfalismo compiaciuto del liberali che si credono moralmente superiori rischia di alienare ulteriormente diversi milioni di elettori americani della classe media». Nulla di nuovo sotto il sole, ma è sempre bene ripeterlo, a quanto pare.
In Germania, Roland Nelles su Der Spiegel si chiede che cosa farà Biden per organizzare il suo lavoro in questi due mesi che lo separano dall’insediamento alla Casa Bianca. In particolare, si rileva, Biden avrà bisogno di riorganizzare molti aspetti della macchina statale, che Trump ha a sua volta notevolmente cambiato dopo l’amministrazione Obama. Su toni più preoccupati la Süddeutsche Zeitung che titola «Una transizione piena di rischi»; facendo riferimento in particolare al fatto che ci sono appunto ancora due mesi prima dell’insediamento di Biden, in cui Trump può potenzialmente creargli «ancora grossi problemi».
I giornali russi sono, per la maggior parte, sempre più focalizzati sugli affari interni; ma persino la Komsomol’skaja Pravda dedica, a metà homepage, un articolo dal titolo «Che cosa cambierà nelle relazioni tra Russia e Stati Uniti quando Biden sostituirà Trump alla Casa Bianca». Si tratta di una lunga intervista a Valery Garbuzov, direttore dell’Istituto degli Stati Uniti e del Canada dell’Accademia delle scienze russa, in realtà non traccia un quadro molto fiducioso: fa riferimento al fatto che, sulla linea di quanto già dimostrato da Biden nel periodo in cui era vicepresidente di Obama, sarà ora la Russia e non la Cina ad essere considerato il principale avversario degli Usa, con una conseguente politica di contenimento.
Dall’altra parte del mondo infine, in Australia, The Age pone l’attenzione sul fatto che i conduttori tv negli Usa abbiamo “tagliato” la conferenza stampa di Trump bollando come false le sue affermazioni, e chiedendosi se i giornalisti locali avrebbero avuto il coraggio di fare altrettanto: una domanda che, in un’amaramente ironica coincidenza, è circolata anche in Italia in questi giorni.