Giorgione e i labirinti del cuore
Si può costruire una mostra attorno ad un solo quadro? Anche quando l’autore non è del tutto sicuro? È quando sta accadendo a Roma, a Palazzo Venezia e a Castel sant’Angelo, intorno alla tela del Ritratto di due amici, attribuita da molti studiosi a Giorgione.
Un quadro non troppo grande, rappresenta due giovani affacciati ad un davanzale: il primo tiene in mano un merangolo, arancia amara simbolo della malinconia, ha il volto triste e pensoso perso nell’ombra; il secondo, dai tratti più vivaci, si affaccia dietro le spalle. Il primo è preso dall’innamoramento non corrisposto, il secondo è libero dalle pene d’amore. Così recita il commento alla tela di Giorgione, in un periodo in cui il tema dell’amore, attraverso le continue edizioni del Canzoniere di Petrarca e degli Asolani di Pietro Bembo, era di gran moda fra la gioventù, e non solo. Basti leggere il Cortegiano di Baldassar Castiglione – quello ritratto da Raffaello al Louvre – per venire a conoscere quanto si parlasse e si cantasse d’amore nelle corti grandi e piccole d’Italia ai primi del Cinquecento.
Di Giorgione stesso il Vasari racconta che era amante della musica (e delle donne), suonava il liuto, come appare nel giovane in rosso seduto nella tavola di Fetonte giudicato da Apollo, in prestito da Londra – forse un autoritratto? Del resto pare che il maestro veneto sia anche l’autore del Concerto a tre di Palazzo Pitti a Firenze e , per chi scrive, almeno in parte del celebre Concerto campestre del Louvre, di solito assegnato a Tiziano (“creatura” di Giorgione, a cui deve molto, anche se ne offuscò i meriti).
Certo, di misteri è piena la vita e l’attività di Giorgione. Incerta la data di nascita a Castelfranco Veneto, la formazione – forse a Venezia -, la data di morte, per peste, nell’autunno 1510 sui trent’anni. Pochi sono i dipinti sicuri (La pala di Castelfranco, la Tempesta, la Vecchia, I tre filosofi, la Laura di Vienna e la Venere di Dresda, il Ritratto Terris, la Nuda dal Fondaco dei tedeschi a Venezia, forse l’Autoritratto a Berlino); e poi molti quelli attribuiti, in un catalogo a fisarmonica, fra cui il nostro di Roma.
Il quale, secondo chi scrive, o è autografo o rappresenta comunque un clima “giorgionesco” presente pure nella capitale a inizio ‘500. Infatti, il merito della rassegna sta anche nell’aver meglio individuato lo stretto e costante legame artistico tra Roma e Venezia nel Rinascimento. Tre papi veneziani nel ‘400, tutti parenti – Gregorio XII, Eugenio IV, Paolo II – portavano con sé tradizioni e culture riassunte nel monumentale e regale Palazzo Venezia voluto da Paolo II, e dai cardinali che vi abitarono, come i Grimani, collezionisti tra l’altro di opere di Giorgione. Chissà se il maestro ha fatto un viaggio a Roma, dove il dipinto dei Due amici è attestato sin dal Seicento?
Le ipotesi sono molte riguardo alla tela romana. Essa esprime comunque un’atmosfera particolare, quella dove i labirinti del cuore – ossia la fragilità e molteplicità delle variazioni sentimentali – si affaccia nella cultura artistica italiana, anticipata da Leonardo, di cui essa appare quasi l’inizio, prima delle tele coeve di Lotto, Previtali, Cariani, Savoldo e Tiziano: quasi un preromanticismo.
Il fascino della rassegna sta proprio in questa indagine – attraverso tele, libri, sculture, bronzi…-, sulla psicologia dell’amicizia e dell’amore come espressione di un nuovo stato d’animo, di quella poesia dei sentimenti e non solo della natura, che è il cuore dell’arte di Giorgione e la sua più preziosa eredità.
Da non perdere. Fino al 17 settembre (catalogo Arte’m)