Giorgio Napolitano, uomo e presidente tra dialogo e ricerca
Il funerale laico a Montecitorio, sua casa per decenni, poteva trasformarsi in una cerimonia fredda e di Palazzo e invece i calorosi saluti di alcuni degli intervenuti, come il figlio, la nipote, il card. Ravasi, Gentiloni, Amato, Finocchiaro, Letta, ci hanno consentito di cogliere spessore ed essenza di Giorgio Napolitano, scomparso il 22 settembre scorso.
È venuto fuori ciò che ha segnato l’esistenza del presidente emerito della Repubblica, ciò che di unico ha lasciato nel suo passaggio terreno. In particolare Ravasi, oltre a sottolineare l’uomo di grandissima cultura, ha affermato: «Sul cristianesimo era più avanti di tanti altri credenti. Tra noi continuo confronto intellettuale e spirituale. Era quello che con una bellissima espressione si definisce cristiano anonimo».
È il momento particolare di una amicizia, raccontato con sapienza scenica: è il ricordo di un concerto di Mozart, l’Ave verum corpus, K618, scritto per il Corpus Domini del 1791. Lo ascoltano insieme il monsignore ed il presidente, per lungo tempo comunista. Dalle parole di Ravasi trapela ammirazione attraverso il dialogo infinito tra due uomini di cultura, capace di accorciare le distanze, frantumare le ideologie, imboccare strade meno note, scoprire improvvise convergenze.
«Penso che in lui ci fosse certamente un’incessante interrogazione sul trascendente», ha detto il cardinale che non parla di conversione in tarda età di un uomo che ha passato una vita nel PCI, tra ripensamenti ed abiure fino ad approdare alla socialdemocrazia in una Europa unita.
Napolitano era stato il comunista riformista, “migliorista” con Amendola, in un partito che era una chiesa senza concili, fino al termine di una storia con il crollo del Muro di Berlino.
È emersa poi anche un’altra grande sintonia nell’amore per Mozart e Thomas Mann con papa Benedetto XVI, che era arrivato a confessargli la sua volontà di dimettersi, tanta erano l’amicizia e la fiducia reciproca. Quello con Ravasi è stato un rapporto di venticinque anni, di sintonia intellettuale nonostante la diversità di visioni. Significativa ovviamente la presenza nei giorni precedenti, a sorpresa, di papa Francesco al Senato. Un silenzio rispettoso verso un percorso diverso, ma nobile di un “servitore della Patria”. I funerali di Stato con rito laico hanno visto la presenza anche del presidente francese Macron, di quello tedesco Steinmeier, del presidente albanese Edi Rama.
Napolitano era convinto che dal dialogo tra credenti e non credenti potessero giungere stimoli nuovi per una ripresa morale e ideale del Paese. Per Ravasi è stato un giusto che ora risplende come una stella. Undicesimo presidente della Repubblica, dal 2006 al 2013, primo eletto per due mandati consecutivi, fino alle dimissioni nel 2015. Era stato presidente della Camera dal 1992 al 1994, ministro degli Interni con il governo Prodi dal 1996 al 1998, senatore a vita dal 2005. Deputato dal 1953 al 1963, dal 1968 al 1996, Europarlamentare dal 1989 al 1992, dal 1999 al 2004.
Figlio di un noto avvocato liberale, aderì fin da giovane al Partito comunista attraverso la Resistenza, al termine della Seconda guerra mondiale. Svolse importanti incarichi di partito, fino a portarlo su posizioni europeiste e vicine alla socialdemocrazia tedesca. Primo comunista invitato negli Stati Uniti, ammise poi l’errore di non aver condannato l’invasione sovietica in Ungheria nel 1956.
Si puo dire che l’invito di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, al dialogo, all’ascolto reciproco, alla condivisione, nonostante le differenze, in sintesi all’unità, abbia trovato nella relazione tra Ravasi e Napolitano, un’alta concretizzazione. Per lei la politica era l'”amore degli amori”.
Per Giorgio Napolitano valeva un’espressione di un condannato a morte della Resistenza: «Ci hanno fatto credere che la politica è sporcizia e lavoro da specialisti. Invece la politica e la cosa pubblica siamo noi stessi».
In conclusione, importante il riconoscimento di un avversario politico, Gianni Letta, stretto collaboratore di Silvio Berlusconi: «Interpretò il mandato presidenziale non in modo notarile, ma sempre nell’interesse del Paese e della coesione sociale». Sul piano umano è stata commovente la testimonianza della nipote Sofia: «Ci ha insegnato a combattere per i propri ideali senza curarsi degli ostacoli e a trattare tutti con rispetto». Ma ha voluto ricordare anche il nonno che vedeva i cartoni animati con i nipoti e che «trovava il tempo per venirci a prendere a scuola, per portarci a mangiare un gelato a villa Borghese».