Giona, Paolo e il mistero del barcone

Il barcone dei mille morti è l’icona di una tragedia senza fine, che diventerà sempre più terribile e di cui anche noi siamo in qualche modo responsabili per le guerre sostenute in questi anni. In ginocchio dovremmo fare penitenza, fare silenzio per la nostra inutile retorica, domandare perdono per le nostre omissioni di fronte alla sofferenza dei poveri
ansa immigrati

Si è parlato molto in questi tempo e in questi giorni della persecuzione dei cristiani. Forse bisognerebbe riconoscerla e guardarla non dall’alto come da un cannocchiale sul mondo, ma da vicino, viaggiando sulle sue strade e condividendo la vita delle persone. Ci sono sempre gli storici e i teologi delle persecuzioni, che utilizzano la loro competenza per inquinare tutto con un velo di eroismo cristiano, che non è loro, ma che loro vogliono utilizzare per mediocri e piccine politiche ecclesiastiche.

Sono stato in questi giorni a Erbil. Abbiamo conosciuto e amato quei cristiani e quelle chiese, segnate da una situazione durissima. E’ evidente che i loro problemi sono nati dalla prima e dalla seconda guerra del Golfo, che hanno schiacciato la posizione dei cristiani su quella degli americani. La cultura della crociata è tornata, è rinata di nuovo e oggi ne paghiamo le conseguenze drammatiche.

Quelle due guerre l’Italia le ha avallate e oggi ne pagano le conseguenze i cristiani irakeni, minoranza sempre più piccola e sempre più indifesa, utilizzata dai più forti per le loro strategie politiche. Echi oggi parla della persecuzione dei cristiani ha accolto nella sua casa chi questa guerra ha promosso.

Come oggi paghiamo il prezzo della guerra di Libia (l’abbiamo scritto molte volte su Città Nuova), che ha distrutto un Paese e lo ha trasformato in una porta aperta verso l’Europa. Da quattro anni dura questa guerra nell’impotenza complice di molti.

Il barcone dei mille morti è l’icona di una tragedia senza fine, che diventerà sempre più terribile e di cui anche noi siamo in qualche modo responsabili. Troppe prediche in questa ora. In ginocchio dovremmo fare penitenza per le nostre responsabilità, fare silenzio per la nostra inutile retorica, domandare perdono per le nostre omissioni di fronte alla sofferenza dei poveri.

I poveri sono perseguitati. Sono perseguitati nei luoghi della guerra, sono perseguitati quando fuggono dalla guerra, sono perseguitati in terra e in mare. Oggi viviamo in tante parti del mondo la persecuzione dei poveri. E il barcone dei poveri è figura della barca dei discepoli. Una barca, che il mare in tempesta mette a dura prova.

Se la politica cerca giustificazioni, i credenti in ginocchio devono chiedere perdono, perché noi siamo responsabili di questa tragedia con i nostri silenzi e le nostre complicità,con i nostri tradimenti e con le nostre omissioni

Gesù sta in questa barca dei poveri e dorme, anticipazione e profezia della sua morte e della sua resurrezione. In questo i poveri sono nostri fratelli. Ce lo ha ricordato il papa, ma lo avremmo dovuto sapere da sempre una fraternità con i poveri,una fraternità con il più piccolo dei fratelli.

Ecco il mistero di Gesù e il mistero dei poveri. La loro persecuzione è la sua persecuzione. Sono venuti per cercare la felicita e nessuno ha raccontato loro con la sua vita che la felicità non è cosa e roba nostra, ma è lo sguardo preveniente di Dio sulla nostra vita, sulla vita dei piccoli del mondo.

Ecco la consegna e il mistero di quel barcone. La storia del profeta Giona ci parla di un barcone che sta per sfasciarsi a causa di una grande tempesta. Allora si domandano di chi è la colpa.

Tirano a sorte per sapere di chi è la colpa di questo e la sorte cadde sul profeta, che stava scappando dalla parola. È proprio questa la causa della tempesta. Il profeta, che rifiuta di essere il profeta di Dio, mette il barcone a repentaglio e tutti rischiano la vita e tutti sono destinati a morire. La chiesa della paura produce i barconi e il loro abisso di violenza Cosi racconta il profeta: «il mare infuriava sempre di più ed egli disse loro prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare ,che è contro di voi , perchè io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia». Quegli uomini cercavano, a forza di remi, di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano perché andava sempre più crescendo contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero : «Signore fa che noi non periamo a causa della vita di questo uomo  e non imputarci il sangue innocente ,perché tu Signore agisci secondo il tuo volere. Presero Giona lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia».

In questo racconto la tragedia del mare nasce dal profeta, che non fa obbedienza al suo Signore e va verso Tarsis piuttosto che verso Ninive. Quando il profeta tradisce, mette a repentaglio la vita di coloro, che sono sulla barca. Il profeta deve confessare il suo tradimento e deve essere gettato in mare, perché il mare si plachi, e finendo così dentro un grande pesce, profezia della morte del Signore.

Anche Paolo racconta di un viaggio complesso per arrivare a Roma. Il centurione sulla nave segue le indicazioni del pilota e del capitano della nave piuttosto che quelle dell’apostolo. Anche qui la barca rischia di essere travolta e spazzata via. Anche qui ci sono tre giorni di tempesta terribile e si era perduta la speranza di essere salvati e tutto veniva scaricato in mare per evitare la fine della barca. Ma in sogno Dio rivela a Paolo la via e il tempo della salvezza. Egli va a Roma per vivere il suo martirio. Il martirio di Paolo salva coloro che conducono la barca. La forza del martirio di Paolo è più potente della violenza del mondo. La sua parola della croce rende impotente la violenza del mondo. Ecco tra Giona e Paolo sta il nostro destino e quello della nube dei poveri.

Cosi si conclude l’azione di Paolo: «ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare .Tutti si sentirono rianimati  e anch’essi presero cibo. Erano complessivamente sulla nave 276 persone, ma incapparono in una secca e la nave si incagliò, mentre la sua prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza delle onde. I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri perché nessuno sfuggisse, gettandosi a nuoto, ma il centurione, volendo salvare Paolo, impedì loro di realizzare questo progetto;diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare  e raggiunsero la terra e poi gli altri, chi su tavole, chi sul altri rottami della nave .E così tutti poterono mettersi in salvo a terra»:

Sembra la cronaca dei giornali di questi giorni. Ma manca il martire e colui che voleva salvare il martire. Manca qualcuno sulla barca che spezzi il pane della vita e del cuore, il pane della fraternità, il pane dei poveri ,il pane dei viandanti.

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