Una gioia m’invade l’anima, più del bruciore agli occhi
Lavoro al centro elettronico di una piccola banca a Lugano. Quando sono stato assunto, mi sono proposto di essere al servizio d’ogni persona per essere testimone di quell’amore che Dio ha per me. Il mio è soprattutto un lavoro che impegna la mente e questo porta spesso a delle incomprensioni e ad una stanchezza mentale frequente. Per questo motivo, l’ambiente non è molto sereno.
Ho collaborato per circa due anni con un collega analista programmatore molto capace ma, come forse anch’io, con un carattere un po’ particolare. In quel periodo ero un po’ alle prime armi della professione e non sempre i primi programmi riuscivano bene e completi. Tra il capo degli analisti e questo mio collega non scorreva buon sangue. Da parte mia volevo il più possibile essere un elemento d’unione fra loro, cercando di capirli e aiutarli nei piccoli servizi, come portare loro le liste in sala macchine quando andavo a prendere anche le mie.
Fui sorpreso quando mi giunse all’orecchio che il collega che mi seguiva in questo primo periodo d’apprendimento della programmazione parlava apertamente male di me al caporeparto. Gli diceva che non sarei mai stato capace di programmare e che quindi non era il mio mestiere. Ma ciò che più mi faceva male era costatare che si serviva di me per mettere in cattiva luce il suo responsabile.
Mi sentivo defraudato della mia personalità. Io, che volevo essere strumento d’unità, ero diventato motivo di discordia. Quella sera entrando in chiesa, mi colpisce una frase: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi ed io vi ristorerò». Mi sono sentito sollevato.
Il giorno dopo, ho cercato di allontanare ogni pensiero negativo verso il mio collega e di accoglierlo così com’era. Qualche tempo più tardi egli annuncia le sue dimissioni per un posto nuovo più vicino a casa sua. Arrivato il giorno della partenza, mi dice: «Tu sei stato veramente un mio amico». Non me lo aspettavo, ma ero felice di sapere che il mio sforzo non era stato vano.
Dopo poco tempo vengo a sapere che era stato licenziato. Mentre i colleghi facevano i più vari commenti, lancio l’idea di aiutarlo, facendo attenzione a non urtare la loro sensibilità. Accettano e, attraverso contatti con varie ditte del ramo, troviamo delle proposte interessanti. Poi si trattava di fargli avere gli indirizzi. Nessuno era entusiasta di fare questo servizio e allora mi sono prestato io. Mentre compongo il suo numero di telefono, rivolgo a Gesù una preghiera: «Non m’importa come reagirà, io lo faccio per Te». Il collega era molto contento dell’interessamento. Più tardi, c’informa di aver trovato lavoro.
Ma la cosa più bella è il rapporto nuovo che si è istaurato fra noi colleghi. Una volta capita che uno di loro, che faceva il turno serale, dopo un ennesimo inconveniente mi telefona per dirmi che non ce la faceva più. Decido di andare a dargli una mano. Non è facile lasciare la famiglia per tornare al lavoro, ma non posso lasciarlo solo. Lo trovo in preda ad una crisi isterica. Cerco di assorbire tutto ciò che dice, tutta la sua rabbia. Piano piano tutto svanisce e si calma. Non è facile fare quel turno con il rumore delle stampanti e dei computer, soprattutto quando si presentano delle difficoltà che non puoi rimediare.
A poco a poco ricostruiamo quanto perso e il lavoro può continuare normalmente. Il mio compito è terminato, ma mi vengono in mente le Parole: «Se uno ti chiede di fare un miglio, tu accompagnalo per due». Gli propongo di andare a casa, sarei rimasto io al suo posto, ma non vuole. A mezzanotte lasciamo la banca. Una gioia m’invade l’anima, più del bruciore agli occhi. (F. S.)