Gioia è relazione

Gioia è relazione

«Perché si prova gioia a non essere soli e ad andare verso gli altri?».

Annamaria – Grosseto

 

Possiamo, per certi aspetti, considerare la solitudine come la malattia fondamentale dell’esistenza. Ogni essere umano ne fa esperienza: essa è radicata in profondità nella vita stessa. L’uomo si sente solo, tutte le volte che sperimenta un acuto senso di “separatività”. Ciò accade quando non riesce a comunicare, a comprendere e a farsi comprendere, quando non si riesce a condividere i propri sentimenti con un’altra persona.  

Sembrerebbe quasi che l’uomo abbia un’intrinseca necessità di comunicare e dialogare con sé stesso, ponendo qualcosa di sé fuori di sé. Ogni uomo non può essere autosufficiente. Prova un senso di mancanza e di incompletezza e può ritrovare la totalità della sua intimità soltanto mediante la riunificazione, in amore, con la parte mancante.  

Per cui possiamo affermare che l’uomo è essenzialmente “relazione”.  Non è un’entità isolata e separata dagli altri e dalla vita. L’uomo è relazione vitale col mondo. La sua natura, in profondità, coincide con una rete di collegamento. Ogni singolo uomo non è un’entità precisa, un punto con un suo contorno delimitato, bensì un filo di relazione, un tramite, un canale.

L’uomo non è un “io” come semplice individuo ma un “sé” come persona. Ed il “sé” non è un “io” fortificato, ma al contrario un allentamento dell’“io” ed un’espansione dei suoi confini. Il “sé” è un passaggio al fluire delle energie del mondo e dell’universo, tale da procurare quella gioia che sembra abbia sperimentato personalmente un genio letterario come l’irlandese George Bernard Shaw:

«Ecco la vera gioia nella vita: venir usato per uno scopo di cui voi stessi riconoscete il valore. Essere una forza della natura, invece di un piccolo agglomerato di fibre, eccitato ed egoista, pieno di disagi e lamentele, che brontola per il fatto che il mondo non si dedica abbastanza alla causa della sua felicità. Io sono dell’opinione che la mia vita appartiene a tutta la comunità e, fin quando vivo, è un mio privilegio fare per la comunità tutto quello che posso. Voglio essere utilizzato totalmente fin quando morirò, anche perché più duramente lavoro più a lungo vivo. Io gioisco per la vita in sé per sé. La vita non è una “candela corta”, per me. È una specie di splendida torcia della quale io sono padrone per il momento, e che voglio far ardere il più brillantemente possibile prima di consegnarla alle generazioni future». (G.B. Shaw, Schizzi autobiografici, Edizione Archinto 1999)

pasquale.ionata@tiscali.it

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