Gioele ed Evan, due bambini che ci appartengono

Gioiele Mondello ed Evan Lo Piccolo: due vicende diverse e controverse, in Sicilia. Un bambino picchiato a morte ed un altro ritrovato tra i rovi di Caronia. Per Evan sono in carcere la madre ed il suo convivente; per Gioele e la madre Viviana Parisi, anch’essa morta tra i boschi dopo un incidente in autostrada, una verità ancora lontana. Mille interrogativi ed una certezza: la necessità di una maggiore tutela per i minori

 

Il corpo straziato di Gioele è stato ritrovato dopo 16 giorni. I poveri resti si trovavano sotto una radura, tra i rovi: poco distante il capo del bimbo e poi la maglietta e le scarpine blu. «I resti – ha detto il procuratore capo di Patti, Angelo Cavallo – sono compatibili con quelli di un bambino di 3 – 4 anni». Sarà l’autopsia a dare l’ultima certezza, ma per gli investigatori, così come per i tanti volontari impegnati nelle ricerche, ci sono pochi dubbi. I pochi resti martoriati dovrebbero essere quelli di Gioele Mondello, figlio di Viviana Parisi, la dj originaria di Torino, che da qualche anno si era trasferita a Venetico (Messina), dopo il matrimonio con il marito Daniele.

Trecento volontari si sono mobilitati rispondendo al’appello di Daniele Mondello per cercare il bambino, ieri mattino, nelle campagne di Caronia. Perché la storia di questo bimbo, che ormai quasi nessuno sperava di ritrovare ancora in vita, aveva coinvolto tanti, in tutta Italia. Così all’appuntamento prefissato, alle 7,30, presso una stazione di servizio, si erano presentati in tanti: abitanti del luogo e anche alcuni turisti. Perché Gioele è il figlio di tutti noi, aveva detto qualcuno, prima di iniziare le ricerche. E le ricerche hanno portato, nell’arco di qualche ora, al ritrovamento del corpo martoriato del bambino. Un carabiniere in pensione, Giuseppe Di Bello, cercatore di funghi e profondo conoscitore della zona, è arrivato armato di falce e roncola. Ha cominciato a disboscare, a tagliare cespugli, finché…

E ora, con la bara che si allontana, accompagnata dal pianto straziato del papà, si chiude una prima fase di questa dolorosa vicenda che ha avuto due vittime: una donna ed il suo figlio amatissimo. Che però non è riuscita a salvare.

Una vita felice, quella di Viviana Parisi, purtroppo turbata da alcuni momenti di difficoltà della donna che, durante i mesi del lockdown, era stata sottoposta ad alcune cure ed era stata ricoverata in ospedale. Per questo, una delle ipotesi per spiegare questa assurda tragedia, è quella di una grande difficoltà emotiva che, nel momento dell’incidente in autostrada, potrebbe averle causato un improvviso sbandamento, un disorientamento. La donna avrebbe scavalcato il guardrail, con il bambino in braccio e poi vagato senza meta apparente, finché non è stata aggredita da qualche animale. Si tratta di una delle ipotesi in campo, che però non convincono del tutto gli inquirenti. Restano alcuni buchi neri, alcuni interrogativi ancora aperti, all’interno di una storia che va componendosi pian piano come un puzzle, ancora con tanti vuoti.

Per il momento, sembra escluso che la donna fosse seguita. L’incidente è stato casuale ed è stato provocato dalla stessa donna che ha tamponato un furgoncino di operai che stavano eseguendo dei lavori. Prima dell’incidente, è uscita dall’autostrada per 20 minuti, in direzione di Sant’Agata di Militello, pare per recarsi ad un rifornimento di benzina. Anche la meta di Viviana Parisi resta un mistero. Aveva detto che sarebbe uscita di casa per comprare delle scarpe per Gioele, invece, era andata oltre, in direzione di Palermo. Alcuni parenti di Viviana ipotizzano che la donna volesse recarsi alla “Piramide della Luce”. Quando si è verificato l’incidente, sarebbero mancati meno di 20 chilometri alla meta. Sempre che quella fosse davvero la meta! La Piramide della Luce è una scultura di 30 metri, in acciaio corten, realizzata da Mausto Staccioli, cui sarebbe legata anche una diffusa ed imprecisata mistica.  Viviana voleva andare lì? Un’ipotesi possibile, secondo alcuni familiari.

Tra le ipotesi in campo, anche quella della presenza di altre persone, che potrebbero aver fatto del male a Viviana e Gioele. Ed anche quella dell’omicidio- suicidio. Viviana potrebbe aver ucciso il figlioletto e poi si sarebbe uccisa. Il marito Daniele, però, esclude del tutto questa ipotesi. Sul corpo della donna, trovato ai piedi di un traliccio, ci sarebbero delle fratture alla spina dorsale, compatibili con una caduta dall’alto, che potrebbero essere causa della morte. Il suo corpo, pur se devastato, era però ancora intero e con pochi segni di morsi di animali. Ma è stato trovato cinque giorno dopo la sparizione del 3 agosto e ce ne sarebbero voluti altri undici prima di ritrovare Gioele. In condizioni peggiori.

E oggi, mentre si spengono i riflettori della ricerca, si aprono quelli della pietà, del dolore straziante. Per una piccola vittima, che il mondo degli adulti non ha saputo o potuto custodire. Per errori, incapacità, o violenza umana, o più semplicemente per un concatenarsi assurdo di eventi.

 

C’è da percorrere poco più di 200 chilometri per giungere a Rosolini, popoloso centro dell’estremo sud siciliano. Un’altra città in cui, negli stessi giorni, si è consumata una tragedia analoga: la morte del piccolo Evan Lo Piccolo, 21 mesi. Ad ucciderlo sarebbe stato il nuovo convivente della madre. Il bimbo era arrivato in ospedale pieno di lividi e di fratture, forse era già morto durante il trasporto in ambulanza.Evan

Ma gli interrogativi sono tanti. Evan poteva essere salvato. Erano partite numerose segnalazioni ma non c’era stato nessun intervento decisivo delle autorità. Il bimbo era stato in ospedale per tre volte, il 27 maggio, il 12 giugno e il 6 luglio. Bruciature, lividi, una frattura: erano stati avvertiti i servizi sociali del comune che avevano già avviato le pratiche e si erano recati in quella casa. Un’altra segnalazione era stata fatta il 6 agosto dal padre del bambino, Stefano Lo Piccolo, che oggi vive a Genova. Quella denuncia era partita alla volta di Siracusa dove però sembra non sia mai arrivata. Sullo sfondo, al di là delle responsabilità che andranno accertate, la consapevolezza di una macchina amministrativa  e di procedure lunghe e farraginose che non permettono tempi veloci di intervento da parte di servizi sociali, magistratura, forze dell’ordine.

Ciascuno avrà fatto la sua parte, ma il coordinamento degli interventi, la capacità di superare i tempi lunghi delle procedure e di fare in fretta, prima che sia troppo tardi, forse è mancata. Le indagini appureranno se ci sono responsabilità. Ma di certo lasciano aperti interrogativi e indicano con forza la necessità che qualcosa venga rivisto in queste procedure. Oggi, il convivente della madre e la stessa donna, purtroppo succube dell’uomo, sono in carcere. Ma la loro eventuale e quasi certa condanna non cancella il dolore. Perché Evan, questo è certo, poteva essere salvato.

 

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