Gioco d’azzardo patologico
Entrando in un bar per un caffè, spesso guardiamo di sfuggita l’angolo delle slot machines, dove fra luci soffuse e trilli elettronici c’è quasi sempre qualcuno che gioca, magari da molte ore.
È una scena che non ci sorprende più, ma il problema della dipendenza patologica da gioco nel nostro Paese è grave: basta sfogliare i dati dell’Osservatorio sui rischi di dipendenza da gioco, istituito nel 2012 preso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, per rendersene conto: i giocatori problematici sono stimati in una proporzione che varia dall’1,3 al 3,8 per cento della popolazione generale, quelli patologici dallo 0,5 al 2,2 per cento. Un esercito, insomma, di almeno 300 mila persone a rischio dipendenza, o già dipendenti da svariate forme di gioco d’azzardo.
L’identikit del giocatore problematico italiano è quello di un adulto, più spesso maschio, caratterizzato dal fenomeno del “poligambling”, cioè l’utilizzo contemporaneo di vari tipi di gioco d'azzardo. Dedica molto tempo al gioco e gioca molto frequentemente spendendo grandi quantità di denaro.
«Molti di questi malati – spiega Giovanni Serpelloni, coordinatore tecnico scientifico dell'Osservatorio in una intervista del 2012 – hanno anche altre dipendenze concomitanti: il 60 per cento ha una codipendenza da sostanze stupefacenti o alcol, il 35 per cento circa ha patologie psicologiche o psichiatriche. Non bisogna dimenticare che i meccanismi fisiopatologici del Gioco d’azzardo patologico (Gap) hanno basi neurobiologiche e psichiche simili a tutte le altre dipendenze».
Un problema di salute, dunque, che finisce per impoverire tutto il tessuto sociale e gli stessi gestori dei locali che ospitano slot, videolottery e lotterie istantanee: negli ultimi otto anni le entrate derivanti dal gioco d’azzardo in Italia sono aumentate di oltre cinque volte, mentre i guadagni per il fisco sono cresciuti soltanto dell’11 per cento. Senza contare i costi per gli interventi di prevenzione e di cura dei malati di Gap, che ricadono sulla fiscalità generale e sulle comunità.
La risposta delle istituzioni si è concentrata prevalentemente sul contrasto al fenomeno della dipendenza: la legge n.189/2012 ha sancito, oltre all’istituzione dell’Osservatorio, l’obbligatorietà per i gestori di sale da gioco ed esercizi di esporre il materiale informativo sui rischi della dipendenza da gioco predisposti dalle Asl. Inoltre il Gap è stato riconosciuto come patologia e gli interventi per la prevenzione e il trattamento sono stati inseriti fra i livelli essenziali di assistenza, erogati con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale.
È un primo passo, ma non è abbastanza per contrastare un fenomeno così diffuso e radicato nel territorio. Manca un quadro legislativo chiaro che limiti e regolamenti seriamente il gioco d’azzardo, contrastando gli interessi delle lobby a maggior tutela dei cittadini, soprattutto i più vulnerabili, e una politica di vero rigore fiscale verso i grandi concessionari.
Anche di recente, il governo ha proposto di chiudere il contenzioso fra Corte dei conti e concessionari slot con il pagamento di soltanto il 20 per cento della multa da 2,5 miliardi di euro, sanzione inflitta per la “mancata” comunicazione degli incassi delle slot installate nei bar nel periodo 2004-2006.
In questo quadro sono significative le azioni di semplici cittadini e associazioni che cercano di contrastare il fenomeno e sensibilizzare la società civile. In Italia si moltiplicano le iniziative come quella degli Slot-mob, promossa da Città Nuova assieme a oltre cento realtà di ognio genere, che consiste nell'organizzare colazioni in massa in quei bar che hanno scelto di rinunciare alle slot, facendone un'occasione di incontro e informazione. Interessante anche il progetto “Bet on math: prevenire l'abuso del gioco d'azzardo con la matematica”, realizzato da Marco Verani, del dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano, che si propone di fornire a tutti gli strumenti di base per capire «i tipici meccanismi decisionali erronei che vengono spesso attivati in condizione di incertezza».