Giocare con gli spazi infiniti

Un celebre musicista così sentenziò sull’opera d’un giovane allievo che gli mostrava lo spartito della sua composizione: Nella sua opera c’è del nuovo e del bello… peccato però, che il bello non sia nuovo e il nuovo non sia bello. Lo sappiamo bene, non basta essere giovani d’anni per ringiovanire il mondo. Ci vuole la capacità d’immergersi negli spazi infiniti che abitano dentro di noi, e di mettersi a giocare con gli spazi infiniti celati dentro gli altri. Cosa rara. Ma ne esistono, di giovani e di vecchi, che sanno vivere così: ed è uno splendore quando li si incontra. La loro stessa vita pare un’opera d’arte, un autentico romanzo. Un giovane di Torino, un ragazzo biondo e schivo di venticinque anni, dai tratti taglienti e dagli occhi chiari, laureato in fisica teorica, che lavora all’università con una borsa di dottorato, Paolo Giordano, ha scritto la sua opera d’esordio. Ed è stato subito successo. Il suo romanzo, La solitudine dei numeri primi (Mondadori) ha scalato le classifiche e s’è aggiudicato il premio Strega. Il romanzo allude ad una metafora matematica: ai numeri primi gemelli, cioè a quei numeri primi (divisibili solo per se stessi o per 1) che sono separati unicamente da un numero pari. Come 3 e 5 oppure come 11 e 13. Vicinissimi, così simili per destino e costituzione, ma incapaci di toccarsi. Separati per sempre dall’esile figura di quella cifra pari che impedisce loro di diventare una cosa sola. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. Mattia e Alice, i protagonisti di questo romanzo, sono loro i due numeri primi gemelli. Hanno subìto entrambi drammatici traumi e quando s’incontrano scatta fra di loro una sintonia magnetica. Nonostante ciò, la forza delle loro paure prevale e li porta ad un progressivo allentamento. S’alza su di loro, come una mannaia, la frase posta nelle ultime pagine del libro: Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante. La solitudine dei numeri primi è una storia di speranze frustrate e di vuoti incolmabili, scritta con uno stile lucido e asciutto, da autentico professionista più che da esordiente. Quasi che il talentuoso Giordano, evidentemente un primo della classe, volesse dimostrare che non è poi così difficile… scrivere come i vecchi. Perché quest’opera – pur spingendo lo sguardo sulla voragine della solitudine in cui tanti giovani sono immersi – mescola con grande perizia molti degli ingredienti che rendono un romanzo appetibile al pubblico odierno. E lo Strega, sempre sensibile alle logiche editoriali, lo ha premiato. Sfogliando le pagine del libro però trovavo troppa freddezza, troppo poca passione. E soprattutto una riflessione: è sempre triste sostenere che sia così ineluttabile, il destino. Ma quando lo fa un giovane è ancora più amaro. Mi sono rifatto il palato letterario e dato un bel respiro all’anima inciampando in un libro che invece è completamente al di fuori dei grandi circuiti editoriali: Il ballo degli invisibili (L’Immagine, 1997), di Silvano Agosti, regista e scrittore, creatore del Cinema Azzurro Scipioni a Roma. L’autore è un personaggio improbabile quanto sorprendente, animato d’una carica d’utopia di quella che purtroppo oggi non usa più tanto, e che gli fa dire con Saint- Exupéry: Si vede bene solo col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi. Così lui ha scritto 92 brevissimi romanzi – di due o tre pagine al massimo – raccolti in questo stupefacente libro, animato da una semplicità disarmante e da una coinvolgente freschezza poetica. Racconta la vita della gente di un quartiere di Roma. Ma guarda a loro con gli occhi illuminati dall’amore. Amare è il gioco inesauribile che la vita ci propone. Vuole scoprire l’anima degli esseri umani al di là dei sepolcri in cui si rinchiudono per – così sostengono – poter vivere. Al di là dell’essere l’imbianchino o l’impiegata, la sposa e il corazziere, la prostituta o il pensionato, c’è infatti sempre un uomo o una donna che attendono d’essere scoperti e amati. L’arte è semplicemente un meccanismo per ricordare agli esseri umani che sono loro il vero capolavoro purché invece di imprigionare in sé la vita si limitino ad ospitarla. C’è sempre qualcosa di più che va oltre le apparenze per potersi incontrare davvero e per inabissarsi negli immani, anche se a volte terrificanti, tesori della vita: Purché tu sappia/che la superficie del mare non è il mare scrive Agosti in una poesia. Nelle pagine di questo suo libro, al di fuori delle mode letterarie, egli vuole offrire un po’ di consolazione. Crede che ognuno di noi è un capolavoro inestimabile, sebbene spesso invisibile come quegli uomini e donne semplici, nascosti ma a modo loro straordinari, che sono protagonisti dei suoi 92 romanzi. Così ci racconta di Raul il sarto che fa vestiti che non solo coprono il corpo, ma rivelano l’anima. La sua bottega è quasi sempre deserta, ma ogni tanto s’affaccia qualche cliente… Ci racconta del vecchio che restò sconvolto da un programma televisivo che elogiava il lato buono di Mussolini, mentre lui si ricordava l’atroce discorso del Duce al fronte, in Montenegro, quando lui era giovane soldato. Non riusciva più a prendere sonno, il vecchietto, così nel cuore della notte bussò alla porta dell’autore per sfogarsi… poi rimase a dormire con lui avvolto nella coperta, come un bambino impaurito che ha bisogno della mamma. Ci racconta come lui non chiuda mai la porta del suo appartamento; un giorno rincasando trovò un prete nel salotto. Buona sera padre. Ma che padre e padre! sbottò l’intruso, io sono un ladro… però mica potevo rubare in un alloggio aperto. Parlano, si conoscono: un altro sepolcro s’è spalancato. Ci racconta dello svitato che a tarda notte scrutava il cielo movendo con grazia l’enorme antenna che aveva costruito, tendendo l’orecchio per cogliere la musica delle stelle. Racconta, racconta e snocciola la sua raccolta tra impegno civile e fantasia, sempre ricordando che schiavo non è tanto chi ha le catene ai piedi, quanto chi non è più in grado di immaginare la libertà. Sergio Zavoli nel ringraziare Agosti per questo libro cita una frase di Federico Fellini: L’immaginazione è il modo più alto di pensare. Anch’io sono riconoscente per questo libretto. Perché nel settantenne Agosti ho trovato un cuore, di quelli rari, che sa giocare con gli spazi infiniti dentro sé e dentro gli altri. Di quelli che possono far ringiovanire il mondo. Quindi, largo ai giovani!
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