Gioca un’altra partita!

Concluso a Tirrenia il sesto Congresso internazionale di Sportmeet. Oltre duecento partecipanti da dodici nazioni disegnano nuovi panorami per la competizione applicata allo sport
VI Congresso internazionale di Sportmeet

«Tutto ciò che comporta fatica permette una vittoria», «L’agonismo è un carattere primario. È la capacità di accettare la sconfitta. È una spinta che permette la crescita», «Un atleta sa da dove parte, ma quasi mai sa dove arriva», «A vincere sono disposti tutti, ma la grandezza vera è la capacità di riprovarci». Sono lanci, passaggi, assist, battute, servizi, colpi di pedale scritti a mano libera sul taccuino. Quel taccuino pieno di appunti dove i valori cercano di andare a braccetto con la competizione. Valori e competizione. Un intrigo che va accettato e capito, non facile da risolvere, soprattutto quando gli interessi economici, il risultato ad ogni costo, la distruzione dell’avversario mandano in panchina ciò che conta davvero.

Live your challenge” (Vivi la tua sfida) è il titolo scelto da Sportmeet, rete internazionale di sportivi ed operatori del mondo dello sport, che dal 4 al 6 aprile ha radunato oltre 200 persone presso il Centro di preparazione olimpica di Tirrenia (Pi) per riflettere attorno ai valori e alle criticità della competizione sportiva. Tre giorni di ginnastica culturale per dipingere nuove prospettive.

Sul palco allestito nella palestra che ospita la fatica degli atleti italiani lanciati verso Rio 2016 si sono dati il cambio docenti universitari, autorità sportive, atleti, allenatori ed educatori sociali, secondo un approccio multidisciplinare ed interattivo. Dall’economia alla sociologia dello sport, passando per le storie di vita vissuta sul campo. Come quella di Alessandro Birindelli, ex difensore della Juventus e della Nazionale, oggi responsabile del settore giovanile del Pisa Calcio che ha voluto sottolineare l’importanza di un agonismo sano e sincero in grado di donare ai più giovani la gioia di poter tirare quattro calci ad un pallone. 

«Lo sport è una carta bianca – ha sottolineato il professor Konrad Kleiner, docente di pedagogia dello sport presso l’Università di Vienna –, su questa carta è possibile scrivere tutto ciò che vogliamo». Così lo sport non è educativo per definizione: «Sta alle persone metterlo al servizio delle capacità motorie, sociali ed emotive dell’individuo», ha aggiunto Lucia Castelli, insegnante di educazione fisica e pedagogista presso il settore giovanile dell’Atalanta.

Una competizione d’alto livello che nasce dal latino “cum-petere”: un saper fare qualcosa, un chiedere insieme, un volere insieme che porta lo sportivo a condividere il significato di una vittoria.

Palloni e campi di gara quindi come punti d’incontro e non di scontro, anche quando il gioco si fa duro come nel rugby, uno sport “bestiale giocato da gentiluomini” disponibili a rispettare le decisione dell’arbitro e a fare dell’umiltà del passaggio all’indietro una virtù strategica, così come ribadito dal dottor Matteo Rampin, psichiatra e consulente sportivo, co-autore del libro “Andare avanti guardando indietro” scritto in compagnia dei fratelli Mirco e Mauro Bergamasco. «Senza l’altro nel rugby non si va da nessuna parte, nemmeno a segnare una meta», lì dove non è possibile coltivare rancore verso un compagno perché prima o poi sarà proprio quel compagno a dover «tenere in vita il pallone».

Sport, gara e competizione. Sudore, sacrificio e sofferenza, ingredienti necessari per superare le salite imposte dalla vita o magari da una tappa del Giro d’Italia. «La vita è una ruota. La vita ruota. La vita è rotonda – scrive Alfredo Martini, storico commissario tecnico della nazionale italiana di ciclismo –. Si pedala, si tira, poi si chiede il cambio. Come in una gara a cronometro a squadre, il segreto è chiedere il cambio quando si raggiunge il massimo della velocità, non quando la velocità sta già calando». Bilancio positivo quindi e per una volta non all’antidoping.

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