Ginevra parla la lingua dell’unità

Ginevra. Il getto d’acqua più potente d’Europa è diventato il simbolo della città nel mondo. Ed anche il simbolo della sua internazionalità. Situata in posizione strategica sulle principali vie di comunicazione europee, tra Alpi e Jura, sulle rive del più esteso lago dell’Europa occidentale, ospita le sedi di istituzioni come l’Onu (qui vengono pensati e elaborati documenti e progetti), l’Oms, la Croce rossa internazionale, il Wto, l’Eurovisione, le più grandi Ong… Ma anche il Cec, il Consiglio ecumenico delle chiese. Nel complesso, più di 200 organizzazioni internazionali, governative o meno. Al Congresso di Vienna, Talleyrand pronunciò una frase rimasta famosa: “Esistono cinque continenti, ed esiste Ginevra”. È, insomma, uno di quei luoghi dove si fa la storia. Nel 1536 Calvino cominciò proprio qui a costruire “la Roma protestante”, su invito di Guillaume Farel, che agli inizi di quel decennio aveva introdotto a Ginevra le idee di Lutero e Zwingli. Jean Calvin veniva dal Nord della Francia, dove tre anni prima era stato conquistato alla Riforma. Perseguitato, si rifugiò a Basilea, dove redasse la Christianae religionis institutio, un vero e proprio manuale di teologia, un catechismo “riformato”. Fu allora che Farel lo chiamò a Ginevra, dove rapidamente si scontrò con gli avversari della Riforma. Dopo alcuni anni di lontananza, vi ritornò nel 1541, e vi sarebbe rimasto fino alla morte, nel 1564. Post tenebras lux, dopo le tenebre la luce, è il motto della città, una sua celebre frase. In tale contesto, naturalmente ecumenico sia dal punto di vista religioso che civile, si è svolta la “settimana ginevrina” di Chiara Lubich, invitata nella città dalla Chiesa protestante di Ginevra, dal Cec e dall’Istituto ecumenico di Bossey. L’origine di tale soggiorno va ricercata nella “giornata aperta” dell’incontro ecumenico per vescovi e responsabili di chiese, amici del Movimento dei focolari, tenutasi il 19 novembre 2001 a Baar, sempre qui in Svizzera. In seguito al successo dell’evento, il Cec, l’Istituto ecumenico di Bossey e la Chiesa protestante di Ginevra si accordarono per invitare Chiara Lubich. Si decise infine di tenere il XXI convegno ecumenico dei vescovi di varie chiese amici dei Focolari nelle vicinanze, a Morges. Il culto della domencia La storia. Quella che depone strato su strato avvenimenti, arte, conflitti e riconciliazioni. Sotto la cattedrale Saint-Pierre – al centro del borgo medievale, cuore della città – un appassionante percorso porta il visitatore indietro nei secoli, fino al 350 d.C., quando lì venne edificato un primo luogo di culto cristiano. Poi una dozzina di cattedrali si sono sovrapposte nei secoli, fino all’attuale, dalla facciata neoclassica. È qui che nel 1536 fu adottata la Riforma. Fu proprio qui che Calvino tenne le sue più appassionate predicazioni per “formare e riformare” il popolo ginevrino. Ed è proprio in questo luogo che si svolge uno degli appuntamenti più significativi della settimana: Chiara Lubich è stata invitata a portare la sua testimonianza all’intera comunità cittadina, nel culto domenicale. Una novità che forse sfugge a chi ha poca familiarità con le faccende ecumeniche. Ma se si capisce che il cuore della vita della Chiesa protestante di Ginevra è proprio il culto domenicale, protetto e rispettato ad ogni costo, forse si può intuire l’importanza dell’invito. Le campane scoccano le dieci e, con puntualità tutta svizzera, dal portone della cattedrale entra la processione guidata dal pastore Joël Stroudinsky, presidente della Chiesa protestante di Ginevra. Le note solenni dell’organo sottolineano il lento procedere del corteo. Il presidente e il decano della cattedrale, William McComish, fanno accomodare Chiara Lubich al centro della scena, dinanzi alla impeccabile corale. Intona versi evangelici significativi: “Non abbiate paura, sono io”. Nell’accogliere l’ospite, il pastore Stroudinsky si rivolge all’assemblea: “Entrando attraverso il grande portale della cattedrale, i nostri passi si sono uniti a quelli di coloro che nei secoli sono entrati in questo luogodalle cattedrali molteplici, per adorare il Dio della vita. La nostra azione s’inscrive nella stessa fedeltà di chi ci ha preceduto”. Ricordando poi il vicino anniversario della Riforma a Ginevra, (anzi, qui si dice della “Réformation”, per distinguerla dalla “Réforme” di Lutero), sottolinea come ciò che unisce fedeli e pastori di tante chiese presenti sia la passione del vangelo, sfida da tempo raccolta dalla Lubich: “La sua è una parola accolta, meditata, pregata, vissuta come un seme potente”. Il presidente può dire questo perché nell’assemblea sono presenti la trentina di vescovi e responsabili di chiese amici dei Focolari venuti da Morges, dove sono riuniti per il loro annuale appuntamento. Una testimonianza di unità, “già e non ancora”, che colpisce la comunità protestante ginevrina. Il culto prevede un’alternanza sapiente di preghiere e letture, con canti di grande qualità: severità e soavità. È una delle forze della litur- gia protestante il saper costruire attorno alla Parola di Dio una corona di note e di preghiere, lodi degne del Dio cristiano. Una continua riforma Chiara Lubich – vestita di nero e di bianco, sul nero e bianco del coro e dei pastori – comincia il suo discorso dopo tre significative letture, tra cui quell’inno alla carità di san Paolo, che non può non risuonare come uno struggente appello ai cristiani per l’unità piena tra di loro. L’incipit dell’intervento è inatteso: “Il 3 novembre prossimo – dice – si celebrerà qui a Ginevra l’anniversario della Riforma… Parola che può suscitare una domanda: il sostantivo “riforma”, l’aggettivo “riformata”, valgono unicamente per la chiesa che ha a Ginevra il suo centro? O non sono parole applicabili in qualche modo a tutte le chiese? Anzi non erano forse tipiche della chiesa da sempre?… Se osserviamo bene la storia della chiesa, e in particolare gli anni in cui noi cristiani eravamo ancora uniti, vediamo che Gesù, con lo Spirito Santo, ha sempre pensato, voluto, orientato la sua Sposa verso una continua riforma, sollecitandone un costante rinnovamento. Per questo ha mandato sulla terra, di tempo in tempo, doni, carismi dello Spirito Santo che hanno suscitato correnti spirituali nuove o nuove famiglie religiose. E con esse ha riofferto lo spettacolo, in uomini e donne, d’una vita evangelica totalitaria e radicale “. La spiritualità del movimento, spiritualità di comunione, appare così una risposta alle esigenze di una chiesa divisa: “Quante volte le chiese sembrano aver obliato il testamento di Gesù, hanno scandalizzato, con le loro divisioni, il mondo, che dovevano conquistargli… Colpa certamente anche di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali… Ma pure del venire meno fra noi di quest’elemento unificatore, nostro tipico: l’amore”. È l’occasione per presentare una visione aperta e dinamica dell’unità ecclesiale, come un grande arricchimento in cui ogni chiesa potrebbe essere al servizio delle altre. Se le divisioni, dice Chiara Lubich sono state provocate dalla mancanza di amore e da numerose cause storiche, forse Dio ha permesso tutto ciò perché la comunione sia ora più profonda, qualcosa “di più grande”. Niente applausi, il culto non li contempla. Ma il silenzio è impressionante, austero come la Chiesa protestante di Ginevra, intenso come le pagine del vangelo. Invoca l’unità dei cristiani. Unità che appare brevemente – come in un abbozzo d’artista, nella intercessione pronunciata da un vescovo luterano, uno anglicano, uno ortodosso e dal card. Miloslav Vlk – un orizzonte non lontano come si potrebbe pensare. Poi, sul sagrato, con una tazza di caffè fumante in mano – altra tradizione consolidata della chiesa locale -, si può dare spazio alla gioia di conoscersi e di stare insieme, alla sorpresa di sentirsi fratelli e sorelle. C’è così tempo per commenti e riflessioni. Ad esempio un’autorità riconosciuta, Liliane Maury-Pasquier, presidente del Consiglio nazionale della Svizzera, dice: “Il culto è stato un simbolo molto forte, perché si è invitato a parlare nella cattedrale Saint-Pierre la fondatrice cattolica dei Focolari”. E aggiunge: “Se ogni persona che ha partecipato al culto ripartisse convinta che l’unità è importante, ma che non si realizza “miracolosamente”, che bisogna invece lavorarci, allora avremo fatto un passo nella direzione giusta”. Il pastore William McComish, da parte sua, non modera il suo vocabolario: “Chiara Lubich in una cattedrale protestante strapiena: un avvenimento maestoso. La funzione principale della cattedrale è proprio quella di riunire tutta la comunità; oggi ha raccolto quasi 1.500 persone per ascoltare un messaggio estremamente evangelico e, se mi è concesso di dirlo, molto protestante”. Rincara la dose mons. Diarmuid Martin, responsabile della missione permanente della Santa Sede presso l’Onu: “Solo chi abita a Ginevra è in grado di capire il significato della presenza di Chiara in una cattedrale- roccaforte del protestantesimo. Forse da questa città può cominciare qualcosa di nuovo per l’ecumenismo “. Una spirtualità per l’ecumenismo IIl secondo grande appuntamento della “settimana ginevrina” di Chiara Lubich ci porta invece nel quartiere delle organizzazioni internazionali. Ecco l’elegante edificio che ospita il Consiglio ecumenico delle chiese assieme a decine di organizzazioni che hanno fattodell’oikumene la loro ragion d’essere. È la terza volta che l’ospite varca questa soglia, dopo le visite del 1967 e del 1982. Si comincia dalla preghiera nella cappella, tutta legno e vetro, invasa dalla luce, ma nel contempo molto raccolta. La preghiera affidata a Chiara Lu- bich lascia il segno, in un momento, va detto, estremamente difficile per il Cec, sia nelle relazioni tra i suoi membri, in particolare tra le chiese della Riforma e quelle ortodosse, che nella grave crisi finanziaria che lo costringerà a ridurre il proprio personale nei prossimi giorni. L’ospite chiede una “grande cosa”, rivolgendosi a Gesù: “Tu, che hai detto: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel mio amore), io sono in mezzo a loro”, suscita in tutti noi quel grande rispetto fraterno, quel profondo ascolto vicendevole, accendi quel reciproco amore, che permetta, anzi porti la tua presenza spirituale in mezzo a noi”. Nella benedizione finale, il pastore luterano Konrad Raiser, segretario generale del Cec, le fa eco: “Dio, che è in Cristo, sia presente in mezzo a noi”. Nella sala plenaria un arazzo rappresenta un Cristo crocifisso e risorto che aleggia sul globo terrestre, sulle diverse chiese e sulla creazione. Qui vengono offerte dall’ospite italiana le basi della spiritualità di comunione. Konrad Raiser sottolinea a questo proposito come il Cec sia interessato al fatto che il Movimento dei focolari abbia saputo “tradurre la spiritualità dell’unità in una forma nuova di convivenza, nella vita quotidiana”, con implicazioni persino nell’economia, nella politica, nella formazione delle comunità. Il “crocifisso ecumenico” “Poiché sono a conoscenza che lo studio e il cammino che si prefigge il Cec è “rendere visibile un’anticipazione di quella piena comunione che le chiese ricercano attraverso il movimento ecumenico” – inizia così Chiara Lubich il suo intervento -, e poiché nel 1993 il Cec definì il Crocifisso come “il paradigma o modello della riconciliazione che conduce alla koinonia”, cioè alla piena comunione, spero che quanto dirò sia, con l’aiuto di Dio, un contributo a questo cammino”. Unità e Gesù abban- donato sono i punti da lei presentati. Com’è inevitabile, Chiara Lubich propone il Cristo Abbandonato come icona della divisione delle chiese, ma anche come chiave del cammino verso l’unità. Dice: “Gesù abbandonato è la luce per ricomporre la piena comunione visibile dei cristiani. Possiamo vederlo come il “crocifisso ecumenico”. E qual è il miglior modo per superare ogni disunità personale o collettiva? Di fronte alle une ed alle altre io devo dire: “Se egli ha assunto tutti i dolori, le divisioni, i traumi, posso pensare che, dove vedo una sofferenza, vedo anche lui. Questa sofferenza mi ricorda lui, è una sua presenza, un suo volto””. Nel dibattito che segue, Chiara Lubich ripropone un concetto già espresso con forza nella conferenza stampa tenuta all’Auditorium Calvin in apertura di settimana, sottolineando come l’amore reciproco, vissuto tra singoli ma anche tra chiese, porti già “ad un solo popolo unito dal battesimo “. E aggiunge: “Dobbiamo sentirci fratelli, essere tutti uniti, altrimenti non avremmo capito nulla del cristianesimo”. E suggerisce una “ricetta evangelica”: “Prima di tutto, prima di ogni lavoro, prima di ogni viaggio, bisogna assicurarsi di essere uno, di essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro, ogni chiesa essere pronta a dare la vita per l’altra chiesa. È questa la sintesi del vangelo, è questa la vera spiritualità di comunione”. Konrad Raiser, non a caso, chiosa il discorso di Chiara Lubich ricordando come, alla conferenza di Stoccolma del 1925, alla base del movimento ecumenico, l’intuizione fondamentale era stata l’idea che più ci si sarebbe avvicinati alla croce di Cristo, più ci si sarebbe avvicinati gli uni agli altri. Yorgo Lemopulos, segretario generale aggiunto del Cec, ortodosso, sembra avere le parole più felici per chiudere la giornata: “Si dice che stiamo attraversando una situazione difficile, ed ecco che qualcuno viene e ci dice: “No, non ci sono ostacoli. Il lavoro per l’unità non è un’alterna- tiva, ma un imperativo””. Ed è il 29 ottobre, a Morges, ad una “giornata aperta” cui intervengono una settantina di vescovi e responsabili di chiese, che Chiara Lubich dà il senso della sua venuta sul Lemano, al termine della intensa “settimana ginevrina”: “Ho in cuore una sola cosa: qui è cominciato qualcosa che dobbiamo portare avanti, qualcosa che è nel pensiero di Dio”. Stroudinsky la comunione negli sguardi Il commento del presidente della Chiesa protestante di Ginevra Da qualche anno, in modo ecumenico e interreligioso, abbiamo vissuto dei grandi avvenimenti nella cattedrale Saint-Pierre, legati alle grandi tragedie di questi tempi. Ma la folla che riempiva la cattedrale domenica era diversa; ho colto in effetti un popolo credente, orante, che viveva insieme nella diversità un’alta spiritualità. Sono stato toccato dalla qualità dello sguardo della gente, durante la processione: c’era molta emozione, vicinanza, comunione spirituale negli sguardi. È il segno di un grande incontro, quando la presenza di Dio si esprime nella bellezza dello sguardo che riconosce sé stesso in quello altrui. Konrad Raiser: Circondati da amici Tre domande al segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese Come presenterebbe il Cec? “È una “fraternità” di chiese più che un’organizzazione o un’istituzione. Importante nel nostro lavoro è la qualità dei rapporti tra le chiese in tutto il mondo che approfittano dello strumento del Cec per accrescere tale fraternità. Ne fanno parte 342 chiese. Nessuno deve sentirsi escluso, nemmeno la Chiesa cattolica romana che, se non è membro ufficiale, in tanti aspetti pratici fa pienamente parte di questa fraternità”. Quali le sfide aperte per il Cec? “Da una parte stanno nell’interpretare e trasmettere l’impegno ecumenico, cresciuto negli ultimi decenni, a una nuova generazione che vive in un mondo globalizzato.Tanti degli ideali dell’ecumenismo sembrano vicini alla realizzazione. Ma il fossato tra i ricchi e i poveri si è allargato. E ciò costituisce, secondo me, una delle sfide più importanti”. Una lettura di questa settimana? “In Chiara Lubich mi impressiona da una parte la sua grande autorità spirituale, e d’altra parte il fatto che sia veramente una donna del suo e del nostro tempo, che non spreca parole per sviluppare teorie, ma che vuole che le cose vadano fatte. In una casa dove si lavora giorno dopo giorno per il movimento ecumenico, ma dove ci si confronta anche con tante frustrazioni, è molto importante essere circondati da amici che non solo condividano questo impegno profondo, ma che lo condividano dando speranza e fiducia”. Al castello di Bossey L’Istituto ecumenico di Bossey, legato al Cec, è una sorta di “laboratorio ecumenico”, e ha come missione di formare i giovani a un pensiero e a un’azione di apertura. Chiara Lubich qui incontra non solo i professori e gli studenti di Bossey, ma anche quelli del vicino centro ortodosso di Chambésy. Al termine, commenta il direttore, il rev. Ioan Sauca, ortodosso rumeno: “Finché non sceglieremo una spiritualità veramente ecumenica avremo solo slogan: Chiara ha un modo pragmatico di andare verso l’unità che dobbiamo imitare”. E Nicole Fatio, teologa, già presidente della Chiesa protestante di Ginevra: “Chiara Lubich ha infranto la divisione tra quelli che prendono le decisioni, il più delle volte uomini, e coloro che fanno la vita delle comunità cristiane, che sono molto spesso donne. E lo ha fatto con la sua teologia potente e il suo discorso chiaro”. Al microfono “Il contributo della spiritualità di comunione è un apporto essenziale all’ecumenismo. Essa ha un legame diretto con l’essenza stessa dell’ecumenismo “. (Mons. Amédée Grab, vescovo di Coira, presidente della Ccee e della Conferenza dei vescovi della Svizzera) ¦ “In un’epoca in cui si parla molto di ecumenismo, credo che l’ecumenismo spirituale debba tornare al cuore della preoccupazione delle chiese”. (Pastore Antoine Reynond, del Consiglio sinodale della Chiesa evangelica riformata di Vaud) “Chiara Lubich ha dimostrato come si può, attraverso un atteggiamento pragmatico, arrivare a una spiritualità dell’unità, che salverà il movimento ecumenico”. (Cornelio Sommaruga, ex-presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa) ¦ “Questa visita è l’inizio di un’avventura. Il messaggio dell’amore di Chiara Lubich non è un amore semplicista, ma forte, che bisogna mettere in pratica”. (Teny Pirri-Simonian, della Chiesa armeno-apostolica, del Cec) “Il movimento ecumenico trarrà un grande beneficio dalla spiritualità di comunione”. (Ishmael Noko, segretario generale della Federazione luterana mondiale) “I due pilastri della spiritualità di comunione di Chiara Lubich, unità e Gesù abbandonato, sono contributi molto importanti per l’ecumenismo, per trovare nuove vie verso l’unità”. (Mons. Kurt Koch, vescovo di Basilea) “Mi ha profondamente impressionato la spiritualità dell’unità, cose semplici che tutti conosciamo; ma il discorso sull’unità, su Gesù crocefisso e abbandonato, sull’amore del prossimo è fondamentale e nuovo per noi cristiani”. (Tamara Grdzelidze, ortodossa georgiana del Cec) “Il movimento ecumenico ha bisogno di una spiritualità, di un carisma. E lì risiede il grande contributo di Chiara Lubich e dei Focolari: crea apertura tra le diverse famiglie cristiane, tra le diverse confessioni”. (Martin Robra, pastore luterano tedesco del Cec)

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