Gilad Shalit, una liberazione controversa

447 palestinesi scarcerati in cambio del soldato israeliano, ormai simbolo delle tensioni in Medio Oriente. Un evento che segnerà una svolta? Una lettera di Jordi Marjanedas
Gilad Shalid

«Il 18 ottobre presso la base aerea di Tel Nof a sud di Israele, Gilad Shalit arrivava in aereo direttamente dall’Egitto – luogo in cui si era realizzato lo scambio di prigionieri –, con il primo gruppo di detenuti palestinesi dei 1.027 che Israele ha rilasciato in contropartita.

 

«Erano passati più di cinque anni dal giorno in cui un comando palestinese – dopo aver costruito per mesi un tunnel sotterraneo di centinaia di metri che attraversava l’invalicabile barriera tra Israele e Gaza –, era riuscito ad entrare alle spalle delle linee dell’esercito israeliano, distruggere il carro armato del caporale Shalit – uccidendo due dei suoi occupanti – e farlo prigioniero.

 

«Ma il 18 accanto ai suoi genitori, al fratello e alla sorella – giunti dal loro villaggio di Mitzpe Hila nel nord del Paese fino in Egitto per riceverlo –, c’erano anche i capi militari che non mostravano la stessa soddisfazione, nonostante l’uniforme impeccabile e le bandiere in segno di festa sventolassero nell’intera base: Hamas aveva vinto una battaglia.

 

«Ed è questo stesso pensiero che ora divide la società israeliana. Da un lato molti sperano che questo gesto rappresenti un passo positivo verso la pace. Shalit stesso in una delle sue prime dichiarazioni alla stampa ha detto: «Spero che questo accordo porti la pace tra palestinesi e Israele e che sia un sostegno alla cooperazione tra le due parti». Ma un altro settore della società, invece, esprime preoccupazione perché tra i palestinesi liberati ci sono responsabili di morti e di atti di violenza. Lo stesso Gilad Shalit ha espresso il suo assenso al rilascio degli oltre 7.000 palestinesi ancora detenuti «se hanno il desiderio di non realizzare più atti violenti». Ma sono in molti a domandarsi se sarà veramente così.

 

«Intanto lo stesso 18 di ottobre, a Gaza, la piazza centrale della città si è gremita di migliaia di persone pronte ad accogliere i palestinesi rilasciati. Hamas ha proclamato il 18 giorno di festa nazionale ordinando anche la chiusura delle scuole. A Ramallah migliaia di persone si sono radunate davanti l’edificio centrale dell’Autorità palestinese. I discorsi dei leader palestinesi, in entrambe le città, non potevano che essere per i prigionieri liberati. «Siete i combattenti per la libertà. Lottatori per Dio e la patria» è stato il saluto di Abu Mazen.

 

«Ma tra i festeggiamenti, curiosamente, nuvole nere si aggirano sul futuro della pace nei territori palestinesi a seguito di quest’accordo. Durante queste le manifestazioni le bandiere palestinesi sono state sostituite da quelle verdi di Hamas. La maggior parte dei prigionieri rilasciati, infatti, appartengono a questa organizzazione che da oggi potrebbe ottenere maggior forza a Gaza e potrebbe assumere una nuova presenza condizionando necessariamente l’atteggiamento moderato del presidente Abu Mazen e del suo partito di Al Fatah in Cisgiordania – dove era stato ridotto ad essere un gruppo marginale –.

 

«Un quadro aggravato dal fatto di esser in un momento in cui sembra delusa l’attesa di un possibile riconoscimento dello stato palestinese da parte delle Nazioni Unite e a cui Abu Mazen aveva puntato, sollevando tante speranze non solo in tutti i palestinesi ma anche tra i pacifisti di tutto il mondo. La nota generale rimane forse quella di una diffusa perplessità. Perché ci sono voluti cinque anni per raggiungere un accordo che, secondo molti osservatori, avrebbe potuto raggiungersi molto prima e in un modo ed un momento più favorevole per Israele?

 

«Ma è in mezzo a questo spettacolo che esperienze come quella che allego di una mamma israeliana (nello stesso box) ci dicono che, nonostante tutto, possiamo aspettarci un futuro più luminoso e quanto le sofferenze possano collaborare a ingrandire il cuore umano».

Jordi Marjanedas

 

La liberazione di Shalit è evidentemente un passo che spariglia un po’ le carte nel panorama del conflitto israelo-palestinese. La transizione araba incombe anche su Israele, che cerca in qualche modo di porvi rimedio. L’acuta lettera del nostro lettore, che conosce bene la regione per avervi vissuto a lungo, ci sembra far comprendere un po’ più a fondo la situazione attuale. Con la speranza del semplice eroismo della gente comune, come racconta la storia pubblicata sotto a quest’articolo.

Michele Zanzucchi

 

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