Giganti a Baalbek

La millenaria città che ha fornito al Libano uno dei suoi simboli racchiude il più grande complesso templare del periodo greco-romano. Il mistero dei suoi megaliti che non hanno confronto al mondo

Non è facile farsi una foto decente sullo scenario di Baalbek: se infatti si privilegiano le persone, si mortificano i ruderi di questo celebre sito archeologico, dichiarato nel 1984 patrimonio Unesco; viceversa, lo scatto fatto a distanza dà un’idea più completa dei monumenti, ma fa apparire formichine le persone. Effetto delle proporzioni colossali dei templi dell’antica città della Beqaa, il fertile altopiano racchiuso tra le catene del Libano e dell’Antilibano; templi che per grandiosità non hanno uguali nel mondo greco-romano. Basti pensare che in epoca medievale la loro vista suscitava tale stupore da alimentare la leggenda secondo cui erano stati costruiti da giganti. Tuttora quanto di loro è sopravvissuto ai terremoti e alle distruzioni dell’uomo lascia interdetti e intimiditi i visitatori, che si chiedono come sia stato possibile, con le tecnologie del passato, sollevare certi monoliti giganteschi del peso di oltre 1000 tonnellate l’uno: la stessa domanda si pongono gli studiosi e archeologi impegnati a far luce sui non pochi enigmi di Eliopoli, la “città del sole”(da non confondere con l’omonima dell’Egitto) oggi nota col toponimo semitico di Baalbek, che vuol dire: “Signore della sorgente” o “della valle”.

Sono sufficienti un paio di ore d’auto da Beirut per raggiungere, su una collina a quasi 1200 metri di altitudine, questa che fu una delle capitali della dinastia tolemaica fiorita negli anni successivi alla morte di Alessandro Magno (323 secolo a. C.). Dopo l’annessione del suo territorio all’Impero romano come parte della provincia di Siria (II secolo a. C.), iniziò la costruzione, protrattasi per ben due secoli, del complesso sacrale di Giove Eliopolitano, le cui gigantesche sei colonne superstiti, visibili già a molti chilometri di distanza per chi proviene da sud, sono oggi il simbolo non solo dell’antica città ma anche, insieme al cedro, di tutto il Libano.

Giove Eliopolitano non era altro che la versione greco-romana di Baal-Hadad, la divinità adorata ben oltre i confini della Fenicia e della Siria, di cui fa cenno anche l’Antico Testamento. Personificava le forze naturali e assieme alla consorte, una dea della fertilità assimilata a Venere, e ad un giovane dio assimilato a Mercurio, componeva la triade divina tipica delle tradizioni religiose del Vicino Oriente. Giove Eliopolitano era anche un oracolo famoso che attirava pellegrini da tutto il mondo romano, consultato perfino dall’imperatore Traiano su come regolarsi durante la sua campagna militare contro i parti.

Il mastodontico tempio, sorto nel I secolo d. C. su un luogo sacro semitico risalente a oltre duemila anni prima di Cristo, misurava 90 metri per 50 e aveva il perimetro segnato da 54 colonne corinzie alte 20 metri; la sua fronte col timpano si ergeva per un’altezza di 40 metri; la piattaforma sulla quale era costruito, accessibile da una triplice scalinata, era costituita da blocchi monolitici del peso, ognuno, di circa 400 tonnellate. Non solo: lungo il muro occidentale del podio, sotto i blocchi romani appaiono – perfettamente connessi tra loro – tre parallepipedi di pietra ancora maggiori, appartenenti ad una fase precedente. A quale popolo o civiltà attribuire tali costruzioni è ciò che assilla gli studiosi. Senza tirare in ballo i soliti patiti dei misteri che riferiscono ad alieni extraterrestri tutto ciò che non è ancora spiegabile del nostro pianeta, si può pensare a qualche cultura che non ha lasciato tracce, soppiantata da una meno avanzata ma più forte e vitale. Non sarebbe la prima volta nella storia.

Il santuario dominava un vasto piazzale rettangolare porticato, dove attorno ad un altare a torre si radunavano i fedeli per le cerimonie sacre. Da esso si accedeva ad un cortile esagonale completato da propilei: la vera entrata monumentale dell’intero complesso sacrale, ornata da 12 colonne aventi in origine capitelli di bronzo dorato.

Accanto al santuario di Giove e ancora meglio conservato è un altro edificio templare, secondo per grandezza ma anch’esso colossale (basti pensare che le sue misure superano di molto il Partenone!), cui è stato dato il nome di tempio di Bacco, se non altro per la ricchissima decorazione scolpita con rappresentazioni di vigneti e di un corteo dionisiaco. Una sua colonna in precario appoggio sul muro della cella dice la violenza del terremoto che lo squassò.

Entrambi i templi sono attualmente oggetto di un restauro conservativo affidato ad una associazione italiana incaricata anche del restauro e della valorizzazione di un altro importante sito archeologico libanese: Tiro.

Un terzo tempio, detto di Venere ma in realtà dedicato alla Fortuna di Eliopoli, sorge distaccato dai due santuari principali: è una piccola elegante costruzione circolare che presenta all’esterno nicchie alternate a colonne.

Le sorprese non sono finite: nella vicina cava di calcare giace, ancora attaccato alla roccia, un monolito di un migliaio circa di tonnellate e 21 metri di lunghezza, sulla cui superficie inclinata le comitive di turisti amano farsi fotografare allineate. Per gli abitanti locali di lingua araba è la “Pietra della gestante”. Nel 1990 è riemerso nel medesimo sito un secondo monolito inestratto: perfettamente rettangolare, pesa oltre 1200 tonnellate! Nell’estate del 2014 le ricerche condotte dal Deutsches Archäologisches Institut (detto per inciso, sono stati i tedeschi a riscoprire e valorizzare Baalbek alla fine dell’Ottocento) hanno portato alla luce un terzo monolito ancora più impressionante, lungo 19,60 metri e dal peso di circa 1650 tonnellate: la cosiddetta “Pietra di Janeen”. Con quali mezzi si potessero smuovere e posizionare blocchi così mostruosi rimane ancora un mistero e una sfida per gli architetti e ingegneri del nostro tempo.

Con l’avvento del cristianesimo iniziò la lenta decadenza del santuario eliopolitano. Distrutte nel IV secolo le statue pagane e l’altare a torre per volere dell’imperatoreTeodosio, nel grande piazzale sorse una basilica cristiana. Anche l’adiacente cortile esagonale e il tempietto di Venere vennero trasformati in chiese, motivo per cui il secondo ci è pervenuto in ottimo stato di conservazione. Ancora nel VI secolo Giustiniano ordinò di reimpiegare otto colonne del tempio di Giove nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.

In seguito alla conquista araba del 637, il complesso templare dell’acropoli venne trasformato in cittadella fortificata con una grande moschea, di cui oggi rimangono solo rovine. Diverse dinastie islamiche si susseguirono, vari i saccheggi subìti. Poi la riscoperta del sito nel XVI secolo da parte dei primi esploratori europei. Forse non sapremo dare risposta a tutti gli interrogativi che suscita Baalbek, ma il suo gigantismo è testimonianza certa, insieme alle piramidi, della costante tensione dell’uomo a realizzare qualcosa di eterno, conforme al suo destino di immortalità.

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