Giardini in tempo di guerra

Nelle sue scorribande attraverso l’Europa, il giovane Teodor cercava una medicina alla solitudine. Il suo sogno segreto: ritornare alla terra, l’uomo riconciliato con la natura
Painshill Park foto di Amandajm

Un giardino accolse i primi uomini, un giardino ci insegnerà a vincere la disumanizzazione. Sull’utopia dell’uomo riconciliato con la natura sono apparsi molti libri scritti da appassionati cultori di giardini, nei quali essi esprimono la propria filosofia al riguardo. Tra i più recenti, Giardini in tempi di guerra del bosniaco Teodor Cerić.

 

Ecco la genesi di questo affascinante testo edito da Ponte alle Grazie. L’autore era studente di lettere quando, nella primavera del 1992, riuscì ad aggirare il blocco dell’esercito serbo che tempestava di bombe Sarajevo e a fuggire dal suo Paese. Per alcuni anni vagabondò attraverso l’Europa vivendo di espedienti e lavori occasionali. Solo a guerra finita, nel 1995, fece ritorno nella Bosnia-Erzegovina ormai indipendente. Tre anni dopo si ritirava a vivere in campagna. Il suo lavoro: scrivere critiche letterarie per riviste e quotidiani bosniaci, austriaci e italiani. Con la raccolta del 2003 Soltanto il poetico può uccidere la poesia, apprezzata dalla critica nei Paesi balcanici e tradotta in francese, si rivelò autore promettente. Malgrado ciò smise ogni attività letteraria per dedicarsi al suo giardino, una sorta di piccola giungla sperduta in mezzo a campi di grano: da allora l’unica sua opera sarebbe stata quella.

 

Nel 2011 Teodor fu contattato da Marco Martella, autore di numerose pubblicazioni sull’arte e sulla storia dei giardini e direttore di Jardins: gli veniva proposta la pubblicazione di un suo articolo su questa prestigiosa rivista parigina. Rispose inviando, nei mesi successivi, numerosi testi fra cui scegliere. In essi l’ex studente di Sarajevo narrava gli anni di vagabondaggio all’estero, mentre il suo Paese sprofondava nella guerra, i suoi incontri con vari esempi di giardino e la sua visione al riguardo.

 

Dopo molte insistenze, Martella ottenne il consenso a pubblicarli in volume. Nasceva così Giardini in tempi di guerra, titolo dato dall’autore. «Questo libro – si legge nella introduzione – è dunque la prima opera inedita di Teodor Cerić pubblicata dopo il 2003. Scorrendone le pagine, il lettore scoprirà giardini famosi, come le Tuileries o Painshill Park (nella foto), ma anche luoghi meno conosciuti, al margine della società; al limite, a volte, di quello che viene chiamato giardino. Ciò che hanno tutti in comune è la loro capacità di offrire all’individuo un rifugio dove il fragore della Storia, che brontola al di là dei muri di cinta, giunge soltanto come un’eco lontana. Luoghi dove il mondo diventa finalmente abitabile».

 

Sette sono le tappe dell’itinerario proposto da questo libro, e altrettanti i giardini descritti da Cerić. Mi limito ad accennare a tre di essi.

Inizio da Cottage Prospect, che il regista Derek Jarman, morto di Aids, aveva creato in una landa arida a un centinaio di chilometri da Londra. Un giardino insolito, senza recinzioni. «In quell’apertura totale del giardino al paesaggio che lo circondava – narra Cerić –, c’era qualcosa di più profondo che mi commosse senza che sapessi perché. Era come se sentissi che quel luogo aperto a tutti i venti nascondeva un segreto, come un poema che non si capisce del tutto ma che, leggendolo, sentiamo che ci sta cambiando la vita». Disseminato di pietre (una per ogni amico sieropositivo morto), di legni, rottami e altri detriti trovati in spiaggia, poteva sembrare un luogo lugubre se non fosse stato per il profluvio di piante e di fiori inneggianti alla vita. Giardino-cimitero e luogo di speranza, era l’ultimo Eden di Derek Jarman.

 

E poi il giardino di Anatólios Smith, già leader della contestazione giovanile degli anni Sessanta in Grecia, autore di canzoni come Lonely Soldier, che sperimentò la prigione e la tortura per essersi opposto al regime dei Colonnelli. Teodor lo va a rintracciare a Creta, dove gli viene indicato come il vecchio folle che abita una grotta a una ventina di chilometri da Iraklion. Lo trova, viene accolto nel suo antro disseminato di sculture fatte da lui, visita il suo giardino: un vero e proprio bosco rigoglioso e brulicante di vita attorno alla grotta, creato da anni di paziente lavoro dallo stesso Anatólios, che afferma di essere in comunione con le ninfe del luogo. «Il contatto intimo col divino, esperienza temibile, trasformava l’uomo. Faceva di lui un creatore: architetto, scultore e perfino poeta». Tale era diventato l’antico cantautore sovversivo (ma era veramente lui?).

 

Il terzo giardino ci porta a Graz, in Austria. Nel suo vagabondare, Cerić ha risposto all’annuncio di una donna che desidera ricevere a domicilio lezioni di serbo croato. Odile, poco più di cinquant’anni, vive sola con la madre in un vecchio edificio accanto al Rathaus (il palazzo del comune in stile neogotico), esce di casa solo per fare la spesa ed ha una passione segreta, il giardinaggio: Cerić ne fa la scoperta entrando per caso nel cortile di casa circondato da altissimi palazzi: immerso in una verde penombra, è straripante di felci di ogni tipo, «un pezzetto minuscolo di Amazzonia in mezzo alle migliaia di muri di cemento della città che lo circondavano». Piante che proliferano in libertà per la gioia di Odile e adesso di lui. Chissà – si chiede – quanti preziosi piccoli eden verdeggiano, ignorati, dietro i muri delle nostre città!

 

Cerić aveva scritto gli articoli di questa raccolta «spinto dalla gratitudine che provo ancora per quei giardini che in passato, quando mi sono ritrovato solo, senza più punti di riferimento (a parte i poeti che avevo amato da studente e il peso dei miei ricordi), mi hanno fatto intravedere la possibilità di un luogo, su questa terra, dove mi sarei sentito come se fossi tornato, finalmente, a casa».

Nell’ultimo, denso di riflessioni, scritto apposta dietro sollecitazione del curatore Martella, l’antico studente di lettere si chiede: «Non è forse questa la promessa del giardino? Non è questa la speranza più segreta dell’uomo? Tornare alla terra, fare di nuovo corpo con essa, e parlare finalmente la sua lingua… no, essere la sua lingua. Una nota fra le altre in questa musica senza inizio né fine».

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons